giovedì 31 dicembre 2009

2010. Rinnovare la speranza

A tutti gli amici, soci e simpatizzanti i migliori auguri di serenità e di pace con le parole del Presidente nazionale di A C, Franco Miano. Siano di riflessione, di stimolo e di impegno concreto non solo per le nostre associazioni parrocchiali ma per l'intera comunità civile.


"In occasione dell’inizio del nuovo anno desidero rivolgere a tutti e a ciascuno i migliori auguri di serenità e di pace. Quelli trascorsi sono stati mesi particolarmente difficili per il mondo e per il nostro Paese, ma la venuta del Bambino ci ha riconsegnato il grande dono della speranza! È con questa consapevolezza che siamo chiamati a rinnovare i nostri propositi di bene, i nostri progetti, i nostri impegni. È con questa consapevolezza che dobbiamo rileggere la nostra storia personale e la storia dell’umanità.
Di una speranza efficace, concreta, abbiamo bisogno noi e hanno bisogno i nostri fratelli. L’ultimo anno, caratterizzato dalla crisi economica, ha infatti prodotto nuove forme di povertà, non solo economiche ma anche morali, che hanno di fatto minato la speranza e prodotto tristezza, disperazione, disillusione.
Rinnovare la speranza significa allora, prima di tutto, rivolgere, con l’anno che inizia, preghiere, pensieri e gesti a tutte quelle persone che hanno perso il lavoro; a loro e alle loro famiglie esprimiamo la nostra solidarietà e vicinanza, insieme all’invito a non demordere nei propri progetti e continuare a sperare che un futuro diverso sia ancora possibile. Sentiamo forte la nostra responsabilità in tal senso e moltiplichiamo le forme di carità e di impegno a tutela della dignità della vita dei nostri fratelli.

Rinnovare la speranza significa sognare una pace vera, un’autentica fratellanza della famiglia umana, e adoperarsi per essa. Innanzitutto dentro di noi diciamo sinceramente “basta” con la spirale di violenza che mortifica l’uomo. La violenza della guerre a noi geograficamente più lontane ma vicine nello spirito, come quella in Terra Santa, ma anche quelle a cui assistiamo quotidianamente; dalla violenza mafiosa a quella che ogni giorno si palesa nell’arroganza e nel sopruso, nell’illegalità e nelle varie forme di disprezzo dell’altro. A cominciare da ciascuno di noi, rinnoviamo l’impegno a favore di una convivenza civile e rispettosa dell’uomo, soprattutto verso quanti vivono storie di emigrazione, emarginazione e solitudine. Facciamo nostre le storie altrui ed impegniamoci per favorirne i diritti e doveri di cittadinanza.

Sulla scia del messaggio del Papa per la Giornata mondiale della Pace, intitolato Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato, rinnovare la speranza significa motivarci seriamente alla tutela dell’ambiente in cui viviamo, perché «la sua salvaguardia diventa oggi essenziale per la pacifica convivenza dell’umanità». Bisogna che recuperiamo il senso di «quell’alleanza tra essere umano e ambiente, che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale proveniamo e verso il quale siamo in cammino».

Rinnovare la speranza significa anche rinnovare, come Ac, l’invito a deporre le armi dello scontro politico in favore di un dialogo che sia costruttivo e sinceramente rivolto al bene comune. Che non si faccia più retorica delle “emergenze” di questo paese, dall’occupazione alla tutela dei poveri, dal dialogo con le nuove generazioni al tema dell’inclusione sociale, dalla salvaguardia della vita a quelle di tutte le forme del creato.

Infine, rinnovare la speranza, per la famiglia associativa, significa prendere sul serio, nei nostri cammini formativi, l’appello del Papa a praticare «un profondo rinnovamento culturale [...] riscoprendo quei valori che costituiscono il solido fondamento su cui costruire un futuro migliore per tutti».Di cuore auguri che i progetti personali, familiari e comunitari si realizzino e siano benedetti dal Signore, di cuore auguri perché l’impegno per l’evangelizzazione e la formazione delle coscienze tragga sempre nuovo slancio e nuove motivazioni dall’intimità con il Padre!".

sabato 26 dicembre 2009

Santo Stefano: proto martire.


"La testimonianza di Stefano, come quella dei martiri cristiani, indica ai nostri contemporanei spesso distratti e disorientati, su chi debbano porre la propria fiducia per dar senso alla vita. Il martire, infatti, è colui che muore con la certezza di sapersi amato da Dio e, nulla anteponendo all’amore di Cristo, sa di aver scelto la parte migliore. Configurandosi pienamente alla morte di Cristo, è consapevole di essere germe fecondo di vita e di aprire nel mondo sentieri di pace e di speranza..." (Benedetto XVI all’Angelus del 26.12.09)

giovedì 24 dicembre 2009

Natale 2009. Auguri di serenità e di pace.



Santo Natale 2009
I pastori che vegliano nella notte,
“facendo la guardia al gregge”
e scrutando l’aurora,
vi diano il senso della storia,
l’ebbrezza delle attese,
il gaudio dell’abbandono in Dio.
E poi vi ispirino un desiderio
profondo di vivere poveri:
che poi è l’unico modo per morire ricchi.
Buon Natale!
Sul nostro vecchio mondo che muore,
nasca la speranza.

(don Tonino Bello)

Cari amici, questa notte nasce per noi il Salvatore. Dio, l’infinitamente grande, grazie al “sì” di Maria, si è fatto uomo. E’ venuto al mondo per noi. E quella nascita nascosta, in un angolo sperduto dell’impero romano, ha cambiato per sempre la storia. La nostra storia.

E’ venuto al mondo nell’assoluta povertà e nel nascondimento, è stato riconosciuto e adorato dai pastori, non dai notabili o dalla gente che conta. A riconoscerlo sono stati gli umili, chi si sentiva bisognoso, chi cercava misericordia, chi non sapeva già tutto, chi non si considerava già perfetto.

Disponendoci a ricevere in dono la luce, la gioia e la pace, che da questo mistero si irradiano, accogliamo il Natale di Cristo come un evento capace di rinnovare oggi la nostra esistenza.
L’incontro con il Bambino Gesù ci renda persone che non pensano soltanto a se stesse, ma si aprono alle attese e alle necessità dei fratelli.
In questa maniera diventeremo anche noi testimoni della luce che il Natale irradia sull’umanità del terzo millennio.

A tutti i più fervidi auguri di serenità e di pace per il Natale e per il Nuovo Anno.

L'Azione Cattolica di Mineo.

mercoledì 9 dicembre 2009

Benedetto XVI per l'Immacolata.

Ieri sera, Benedetto XVI davanti alla colonna dell’Immacolata, in Piazza di Spagna, nel pomeriggio dell’8 dicembre, appuntamento cittadino tradizionale per gli ultimi papi, ha ha parlato dei mali della città con una concretezza descrittiva per lui inusuale. Una meditazione partendo dall'affermazione della lettera di Paolo ai Romani: “Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia”.

Ecco qui di seguito per intero il discorso di papa Benedetto alla città di Roma, nella festa della “piena di grazia”.

Cari fratelli e sorelle, nel cuore delle città cristiane, Maria costituisce una presenza dolce e rassicurante. Con il suo stile discreto dona a tutti pace e speranza nei momenti lieti e tristi dell’esistenza. Nelle chiese, nelle cappelle, sulle pareti dei palazzi: un dipinto, un mosaico, una statua ricorda la presenza della Madre che veglia costantemente sui suoi figli. Anche qui, in Piazza di Spagna, Maria è posta in alto, quasi a vegliare su Roma.

Cosa dice Maria alla città? Cosa ricorda a tutti con la sua presenza? Ricorda che “dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia” (Romani 5, 20), come scrive l’apostolo Paolo. Ella è la Madre Immacolata che ripete anche agli uomini del nostro tempo: non abbiate paura, Gesù ha vinto il male; l’ha vinto alla radice, liberandoci dal suo dominio.
Quanto abbiamo bisogno di questa bella notizia! Ogni giorno, infatti, attraverso i giornali, la televisione, la radio, il male viene raccontato, ripetuto, amplificato, abituandoci alle cose più orribili, facendoci diventare insensibili e, in qualche maniera, intossicandoci, perché il negativo non viene pienamente smaltito e giorno per giorno si accumula. Il cuore si indurisce e i pensieri si incupiscono. Per questo la città ha bisogno di Maria, che con la sua presenza ci parla di Dio, ci ricorda la vittoria della grazia sul peccato, e ci induce a sperare anche nelle situazioni umanamente più difficili.Nella città vivono – o sopravvivono – persone invisibili, che ogni tanto balzano in prima pagina o sui teleschermi, e vengono sfruttate fino all’ultimo, finché la notizia e l’immagine attirano l’attenzione. È un meccanismo perverso, al quale purtroppo si stenta a resistere. La città prima nasconde e poi espone al pubblico. Senza pietà, o con una falsa pietà. C’è invece in ogni uomo il desiderio di essere accolto come persona e considerato una realtà sacra, perché ogni storia umana è una storia sacra, e richiede il più grande rispetto.
La città, cari fratelli e sorelle, siamo tutti noi! Ciascuno contribuisce alla sua vita e al suo clima morale, in bene o in male. Nel cuore di ognuno di noi passa il confine tra il bene e il male e nessuno di noi deve sentirsi in diritto di giudicare gli altri, ma piuttosto ciascuno deve sentire il dovere di migliorare se stesso! I mass media tendono a farci sentire sempre “spettatori”, come se il male riguardasse solamente gli altri, e certe cose a noi non potessero mai accadere. Invece siamo tutti “attori” e, nel male come nel bene, il nostro comportamento ha un influsso sugli altri.
Spesso ci lamentiamo dell’inquinamento dell’aria, che in certi luoghi della città è irrespirabile. È vero: ci vuole l’impegno di tutti per rendere più pulita la città. E tuttavia c’è un altro inquinamento, meno percepibile ai sensi, ma altrettanto pericoloso. È l’inquinamento dello spirito; è quello che rende i nostri volti meno sorridenti, più cupi, che ci porta a non salutarci tra di noi, a non guardarci in faccia… La città è fatta di volti, ma purtroppo le dinamiche collettive possono farci smarrire la percezione della loro profondità. Vediamo tutto in superficie. Le persone diventano dei corpi, e questi corpi perdono l’anima, diventano cose, oggetti senza volto, scambiabili e consumabili.
Maria Immacolata ci aiuta a riscoprire e difendere la profondità delle persone, perché in lei vi è perfetta trasparenza dell’anima nel corpo. È la purezza in persona, nel senso che spirito, anima e corpo sono in lei pienamente coerenti tra di loro e con la volontà di Dio. La Madonna ci insegna ad aprirci all’azione di Dio, per guardare gli altri come li guarda Lui: a partire dal cuore. E a guardarli con misericordia, con amore, con tenerezza infinita, specialmente quelli più soli, disprezzati, sfruttati. “Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia”.
Voglio rendere omaggio pubblicamente a tutti coloro che in silenzio, non a parole ma con i fatti, si sforzano di praticare questa legge evangelica dell’amore, che manda avanti il mondo. Sono tanti, anche qui a Roma, e raramente fanno notizia. Uomini e donne di ogni età, che hanno capito che non serve condannare, lamentarsi, recriminare, ma vale di più rispondere al male con il bene. Questo cambia le cose; o meglio, cambia le persone e, di conseguenza, migliora la società.

Cari amici romani, e voi tutti che vivete in questa città! Mentre siamo affaccendati nelle attività quotidiane, prestiamo orecchio alla voce di Maria.
Ascoltiamo il suo appello silenzioso ma pressante. Ella dice ad ognuno di noi: dove ha abbondato il peccato, possa sovrabbondare la grazia, a partire proprio dal tuo cuore e dalla tua vita! E la città sarà più bella, più cristiana, più umana.
Grazie, Madre Santa, di questo tuo messaggio di speranza.
Grazie della tua silenziosa ma eloquente presenza nel cuore della nostra città. Vergine Immacolata, “Salus populi romani”, prega per noi!

8 dicembre Festa dell'Immacolata e dell'Adesione.

Mi è sembrata così bella, profonda e motivante, la lettera che il Presidente di AC e l'Assistente generale hanno mandato a tutti i presidenti parrocchiali di A C, che la pubblico per farla conoscerla a tutti e poter approfondire i vari temi che la lettera affronta. E' un bel regalo che hanno fatto per la festa dell'Immacolata a tutti presidenti parrocchiali. Coraggio.

Roma, 5 dicembre 2009
Ai Presidenti diocesani
Ai Presidenti parrocchiali
Loro Sedi

Carissimo Presidente,
in virtù di una bella e significativa tradizione, l'8 dicembre, solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, l’Azione Cattolica Italiana celebra la festa dell’adesione. Migliaia di ragazzi, giovani e adulti, pienamente inseriti nelle loro comunità parrocchiali e nella Chiesa diocesana guidata dal vescovo, rinnovano il loro si a Cristo, alla Chiesa, all’associazione.
Con parole semplici vogliamo esprimerti il nostro grazie per il servizio che rendi alla Chiesa e all’Azione Cattolica.

Desideriamo inoltre che tu esprima la nostra sincera gratitudine al sacerdote che accompagna il vostro cammino associativo: se l’Azione Cattolica è storia di santità laicale lo è anche, diremmo soprattutto, per l’amicizia spirituale e l’alta testimonianza che ordinariamente offrono tanti sacerdoti. È una verità da affermare con franchezza, specie alla luce dell’Anno Sacerdotale recentemente proclamato da Papa Benedetto XVI.

E ti invitiamo anche a ringraziare, uno ad uno, i soci che oggi aderiscono: con questo generoso gesto aiutano l’associazione ad essere sempre più una grande famiglia in cui ciascuno può sentirsi accolto con gioia. Grazie ai più piccoli,che ci aprono il cuore al domani. Grazie ai giovani, che dimostrano come sia possibile credere anche in questi tempi. Grazie agli adulti, che con la scelta associativa ci educano ad uscire dall’individualismo. Grazie ai soci più anziani, memoria storica della nostra amata Ac, dei quali sentiamo il sostegno della preghiera.

Ti chiediamo di riportare, ancora, un grazie speciale ai responsabili, educatori e animatori associativi, che con il loro gratuito impegno trasformano in prassi concreta il progetto formativo dell’Azione cattolica. Un grazie che è partico-larmente sentito alla vigilia del decennio che i vescovi italiani vogliono dedicare proprio all’urgenza del compito educativo.

Infine, un caloroso saluto a tutta la tua comunità parrocchiale, ai fedeli laici, ai sacerdoti e ai religiosi che ne progettano e sostengono l azione pastorale, a tutti i movimenti e alle aggregazioni laicali che nella comunione perseguono il fine generale apostolico della Chiesa.

In queste settimane la Presidenza nazionale dell’Azione Cattolica sta incontrando in vari appuntamenti regionali tutte le Presidenze diocesane. Vogliamo condividere con voi questa prima sintesi: l Azione Cattolica è una realtà viva lungo tutto lo Stivale, fedele alla sua storia fatta di ferialità, evangelizzazione e formazione delle coscienze, pienamente corresponsabile del cammino della Chiesa, capace di importanti innovazioni pastorali. Quella che stiamo incontrando è un Azione Cattolica con tante risorse e ricchezze, in cui si intravede l’azione dello Spirito, e in grado di far fronte alle difficoltà facendo leva, innanzitutto, su un intensa vita spirituale e sulla gratuità del servizio. È per questo motivo che il nostro saluto è rivolto in modo speciale alle associazioni parrocchiali che avvertono maggiormente un senso di fatica: la presenza dell’Azione cattolica in una comunità è sempre un segno ricco di valore!
L’8 dicembre, dunque, abbiamo davvero tanti motivi per sentirci uniti, per avvertire un profondo senso di fraternità. Un senso di fraternità che unisce, senza distinzioni, Nord, Sud, Est, Ovest e Isole. Siamo tutti grati all’Azione Cattolica per quanto ci ha donato: laici e sacerdoti esempi di vita, amici veri, esperienze spirituali e formative, di gruppo e personali, che ci hanno permesso di crescere nella fede e nella partecipazione alla vita della città dell’uomo.

Con questo senso di fraternità leviamo allora una comune preghiera proprio per il nostro Paese, l'Italia, perché ritrovi la strada della serenità e sia luogo in
cui ciascuno contribuisce alla realizzazione del bene comune. E preghiamo perché la Chiesa sia, ogni giorno e per tutti, segno vivo della presenza densa d'amore del Bambino che viene al mondo.

Con affetto,
Franco Miano + Domenico Sigalini

mercoledì 7 ottobre 2009

C’è un Giudice a Berlino.

Il Lodo Alfano è incostituzionale.
Lo ha deciso a maggioranza la Consulta: per i giudici era necessaria una legge costituzionale ma il Lodo, in ogni caso, ha violato anche l'articolo 3 della Carta, quello che stabilisce l'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge.
La decisione è stata presa a maggioranza (9 giudici contro 6) e avrà come effetto immediato la riapertura di due processi a carico del premier Silvio Berlusconi: per corruzione in atti giudiziari dell'avvocato David Mills e per reati societari nella compravendita di diritti tv Mediaset.

Per approfondire l'argomento e riflettere sul momento particolare che sta vivendo l'Italia, vi sottopongo questo articolo di Anselmo Grotti.

Lo Stato di diritto
In ogni stato democratico si può legittimamente essere di sinistra, di centro, di destra condividendo alcuni valori di fondo, le regole del confronto politico, il rispetto per le istituzioni e il diritto. Sono tutte realtà che durano molto più a lungo della carriera di un singolo politico, della vicenda di un partito, della sorte di una ideologia. Abbiamo vissuto anomalie evidenti nella vita politica italiana. Niccolò Ghedini ha detto: “La legge è uguale per tutti ma non sempre lo è la sua applicazione» . «Con le modifiche apportate alla legge elettorale – ha aggiunto Pecorella -, il presidente del Consiglio non può più essere considerato uguale agli altri parlamentari, ossia non è più ‘primus inter pares’, ma deve essere considerato ‘primus super pares»’. “Primus super pares?”… Siamo lontrani mille miglia dallo Stato di diritto. La Consulta ha bocciato il lodo Alfano. Ne va preso atto. Preoccupa un ministrro che evoca il richiamo “al popolo”. Aveva detto: “Il lodo non sarà bocciato. Non si può sfidare l’ira dei popoli”. Invece, semplicemente, in uno Stato di diritto le sentenze si rispettano. C’è qualcosa di profondamente malsano in questa ipertrofia dell’ego, in questa presunzione di onnipotenza. Se togliamo alle frasi pronunciate dal Presidente del Consiglio il pronome “io”, tali frasi si riducono del cinquanta per cento. In quale Paese l’affermazione di un presidente “pro tempore” di essere “il migliore politico italiano degli ultini 150 anni” non suscita imbarazzo, senso del ridicolo, ridimensionamento? In quale Paese? In Italia. Con poche lodevoli eccezioni: Claudio Magris ha definito “buffa” la frase, e sia benedetta la compostezza di questo signore mitteleuropeo, certamente non iscrivibile nel partito degli arrabbiati e degli scomposti. Così ha scritto il 17 settembre sul “Corriere”: Quella buffa autoesaltazione del nostro presidente del Consiglio — che di fatto è un’involontaria autocaricatura e potrebbe essere la battuta di un comico che cerca di metterlo malignamente in ridicolo — è imbarazzante, al di là di ogni orientamento politico di centrodestra o centrosinistra, per tutti e specialmente per i suoi sostenitori.
De Gasperi, che era un ben più grande uomo politico, non si paragonava certo a Bismarck o a Napoleone; anche per questo era un grande e aveva tutti i titoli per governare un Paese, il che richiede molte e diverse qualità fra cui l’equilibrio e soprattutto il senso della realtà, dei rapporti di grandezza e di forza, delle oggettive misure di se stessi e delle cose. Ciò vale in ogni campo ed è particolarmente necessario in politica.
Ma può darsi che quell’impennata sia dovuta alla frequentazione di compagnie discutibili; Berlusconi è reduce da un cordiale incontro col Colonnello Gheddafi, e la Libia, che il prossimo 23 settembre assumerà la presidenza dell’Assemblea generale dell’Onu, si appresta, come è stato annunciato, a chiedere ufficialmente la dissoluzione della Svizzera tra la Francia, la Germania e l’Italia…”. Eppure Magris ha torto: quella che potrebbe essere la battuta di un comico che mette in ridicolo un politico in Italia non ha questo effetto. Lo avrebbe nella Mitteleuropa, o in qualsiasi stato democratico.
Siamo uno strano Paese. Per lo Stato italiano Tanzi è tuttora degno del titolo di Cavaliere del Lavoro: l’onorificenza non gli è stata revocata. Un Cavaliere del Lavoro è un uomo, dice la legge 194 del 1986, che tra l’altro deve «aver tenuto una specchiata condotta civile e sociale» e «non aver svolto né in Italia né al l’estero attività economiche lesive dell’economia nazionale». Come Tanzi, evidentemente. Dunque mentre Bernard Madoff in otto mesi è passato dalle stelle al le celle, il nostro «campione» nazionale dopo sei anni è ancora Cavaliere del Lavoro.
Viene intaccato il suolo profondo del vivere civile. Lo scudo fiscale è un premio ai furbi, una ulteriore umiliazione per chi giorno dopo giorno faticosamente lavora, dignitosamente sostie la famiglia e i figli, silenzionsamete paga i tributi. Ma ancora più inquietanti sono le motivazioni: da questa operazione si potranno trarre molti denari, servirà – dice il Presidente “ad aiutare i bisognosi”. Un sacco di errori in una battuta. Pensiamo intanto a quel termine orrendo (”bisognosi”). Rimanda a uno stato paternalistico, che benevolmente di tanto in tanto si degna di gettare un pezzo di pane al povero lazzaro. Il tintinnare delle chiavi delle nuova casa, lungamente fatte agitare davanti al bambino a beneficio delle telecamere, ne è un ulteriore esempio. Nel compleanno (scusate, “genetliaco”) del potente di turno si festeggia la liberalità, la capacità di fare miracoli, l’onniscienza del Presidente. Quello che era un diritto del cittadino si è trasformato nel regalo del feudatario al vassallo. E poi un concetto più giuridico. Lo Stato non incamera denaro, sia pure a fin di bene, da operazioni illecite. La fiducia nelle istituzioni, il bene comune, l’imparzialità della legge rappresentano valori troppo alti per essere svenduti. “Da un male può nascere un bene”, ha detto Egli. No, da un male nasce un altro male. Se anche lo Stato impegnato a combattere un evasore fiscale spendesse in questa operazione la stessa cifra che potrebbe recuperare – e anche di più – dovrebbe farlo lo stesso. Un privato rinuncia a perseguire il debitore se spende più di quanto otterrebbe. Lo Stato non deve farlo: la tutela della legge, la sua imparzialità e la fiducia dei cittadini sono un valore più grande. Il problema dell’Italia non è quello di essere guidato da un governo di destra. Questo è normale. In Germania ha vinto la Merkel, in Francia Sarkozy, in Gran Bretagna i laburisti sono allo sbando. In Grecia invece hanno vinto i socialisti. Ciascuno può rallegrarsi di questo o di quel governo, ma da nessuna parte sono messe in discussioni le basi dello Stato. Ma il problema dell’Italia è il prevalere di una incultura politica che smantella le basi stesse del vivere civile, il concetto di stato di diritto. Una coalizione di governo ha ricevuto il mandato di governare. Lo faccia, ne ha pieno diritto. Ma non si dica che il voto popolare (su liste bloccate) dia una sinecura totale, cancelli ogni necessario rispetto delle leggi.
In Italia Egli ha un consenso molto forte, stando ai sondaggi ma evidentemente anche ai voti delle elezioni. C’è però un fatto su cui riflettere, una ulteriore anomalia. C’è una forte differenza tra il consenso che Egli raccoglie in Italia e quello che raccoglie all’estero. Da un punto di vista tecnico questa anomalia è tipica dei regimi non o non del tutto democratici. Il capo della Corea del Nord gode di un largo consenso nel paese. Molto meno all’estero. La coppia dei fratelli Castro a Cuba godono di un largo consenso a Cuba. Meno all’estero. Gheddafi in Libia è certamente il miglior politico degli ultimi 150 anni. All’estero, dalle Nazioni Unite alla Svizzera, si ha un’idea leggermente diversa. Anche il presidente dell’Iran è più popolare nei regimi musulmani fondamentalisti che nei paesi occidentali. Non sono molti i giornali che se la sentono di attaccare Putin in Russia. All’estero sono di più.
******** “Nel coro di giuste critiche, a cui si sono associati anche alcuni familiare del presidente, manca una voce: quella dei cattolici (e laici) impegnati in politica a fianco del presidente del consiglio. Nessuno chiede loro di abbandonare lo schieramento del Cavaliere, ma soltanto di far sentire la loro voce. Non è pensabile che otrganizzatori del Family Day o accompagnatori del oresidente al Meeting di Rimini tra giovani cattolici, o membri del Governo che si occupano di politiche familiari non abbaimo nulla da dire. E le numerose e rispettabili signore: ministre, parlamentari ecc. non sentono l’obbligo di contestare una concezione della donna come abbellimento di feste notturne?” (Giulio Fabbri, Docente di Storia della Chiesa, Pisa, su FC 39/2009).
***********”Leggere è il cibo della mente” recita la filastrocca voluta da Palazzo Chigi (…). Il premier ha però chiarito cosa: “Vi invito a non leggere i giornali. Io non lo faccio da tempo e ne traggo grande giovamento”.
************”In questa tragedia l’abusivismo edilizio non c’entra nulla” (Buzzanca, sindaco di Messina. Da non confondere con il più celebre Lando, – che era attore più serio).
Anselmo Grotti

giovedì 17 settembre 2009

17/09/2009 - S. E. Mons. Manzella nuovo Vescovo di Cefalù



Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Cefalù S.E. Mons. Vincenzo Manzella, finora Vescovo di Caltagirone.

S.E. Mons. Vincenzo Manzella è nato a Casteldaccia, in provincia e arcidiocesi di Palermo, il 16 novembre 1942. Ha compiuto gli studi medi e il quadriennio teologico nel Seminario Arcivescovile Maggiore di Palermo. In seguito, dopo l’ordinazione sacerdotale, ha conseguito la specializzazione in Pastorale e la laurea in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Lateranense, come pure la laurea in Teologia presso la Pontificia Università S. Tommaso d’Aquino.

È stato ordinato sacerdote il 1° luglio 1967, per l’arcidiocesi di Palermo.

Ha svolto i seguenti incarichi: Segretario degli Em.mi Cardinali Francesco Carpino e Salvatore Pappalardo dal 1968 al 1978; Segretario aggiunto della Conferenza Episcopale Siciliana dal 1976 al 1978; Arciprete della Parrocchia matrice di Termini Imerese dal 1978 al 1986. Nel 1986 è stato nominato Rettore del Seminario Arcivescovile Maggiore di Palermo che ha retto fino al 1991.

Per diversi anni ha svolto anche il compito di Difensore del Vincolo presso il Tribunale ecclesiastico diocesano. E’ stato Presidente dell’Istituto diocesano per il sostentamento del clero e Membro del Consiglio Presbiterale e del Collegio dei Consultori.

Eletto Vescovo di Caltagirone il 30 aprile 1991, è stato consacrato Vescovo il 29 giugno dello stesso anno.

In seno alla Conferenza Episcopale Siciliana è Delegato per i Problemi sociali, del Lavoro e Giustizia e Pace.

Mons. Manzella succede a Mons. Francesco Sgalambro, di cui Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale, presentata in conformità al can. 401 §1 del Codice di Diritto Canonico.

sabato 29 agosto 2009

Solidarietà al direttore di Avvenire

Mi sembra giusto pubblicare la riflessione del Presidente Nazionale di A.C. e la nota dell'A. C. sull'attacco al direttore del quotidiano AVVENIRE da parte delle colonne de "Il Giornale".

Qual'è oggi la situazione del mondo dell'informazione in Italia ?

L'informazione è tra i principali strumenti di partecipazione democratica. Non è pensabile alcuna partecipazione senza la conoscenza dei problemi della comunità politica e dei dati di fatto.
Occorre assicurare un reale pluralismo garantendo una molteplicità di forme e di strumenti nel campo dell'informazione e della comunicazione...
"merita attenzione particolare il fenomeno delle concentrazioni editoriali e televisive, con pericolosi effetti per l'intero sistema democratico quando a tale fenomeno corrispondono legami sempre più stretti tra l'attività governativa, i poteri finanziari e l'informazione". (dal Compendio della Dottrina sociale della Chiesa).

Un attacco gratuito e rancoroso di Franco Miano
Quanto ho letto ieri sulle colonne de Il Giornale, l’attacco gratuito e rancoroso al direttore di Avvenire, Dino Boffo, merita qualche altra parola per evidenziare da un lato un disagio, che si è palesato in tanti interventi e prese di posizione, e, dall’altro, per sottolineare il clima in cui questo fatto si è inserito. Appare a tutti evidente che l’articolo vuole essere soprattutto un tentativo di intimidire un giornale che ha cercato, con correttezza ed equilibrio, di informare i suoi lettori su una vicenda che non poteva essere ignorata, senza per questo scendere nel pettegolezzo, nel gossip. Non si può ignorare che alcuni comportamenti, così come presentati dalla stampa, hanno messo in difficoltà i cattolici. Ma è altrettanto indubbio che il giornale dei cattolici, Avvenire, si è mantenuto su una linea di prudenza e di rispetto delle persone.

Stupisce dunque questo violento attacco nei confronti del direttore di Avvenire, soprattutto perché personale quanto pretestuoso, rispetto al merito della vicenda. È forse vero che siamo arrivati a un punto di non ritorno; quel dialogo da più parti invocato, auspicato, sembra essersi fermato per lasciare spazio a campagne d’odio le cui conseguenze rischiano di mettere in ginocchio ancor di più un Paese che già si trova ad affrontare problemi reali, che toccano soprattutto singoli e famiglie.

È giunto il momento secondo me, in cui si deve fare una scelta tra cercare tutti insieme di aiutare il Paese ad uscire dalle difficoltà del momento, oppure continuare uno scontro culturale, ideologico che non serve a nessuno, e per di più rappresenta un ostacolo a qualsiasi cambiamento.

Preoccupa inoltre questa “guerra” tra giornali. Compito dell’informazione è proprio quello di aiutare a capire, a conoscere. Ciò che leggiamo in questi giorni sembra più un tentativo di impedire che ci possa essere ancora una stampa con la volontà di informare liberamente. La libertà di stampa è un cardine della democrazia e impedire che i giornali possano dire cose non gradite è un tentativo di costruire verità artificiali.

Come cristiani siamo abituati a dire “si, si; no, no”; a rispettare l’altro come persona, perché creata a immagine e somiglianza di Dio. Per questo siamo stupiti di fronte ad attacchi così gravi e pretestuosi. Per questo chiediamo di fare un passo indietro a un certo giornalismo e a una certa politica che pur di perorare una causa sono disposti a qualsiasi atto per screditare chi ha una diversa opinione o esprime una diversa posizione.

NOTA DEL 28 AGOSTO
L’Azione cattolica italiana esprime solidarietà al direttore di Avvenire Dino Boffo per l’attacco, gratuito e rancoroso, ricevuto dalle colonne de Il Giornale. Appare evidente che l’articolo vuole essere soprattutto un tentativo di intimidire un giornale che ha cercato, con correttezza e equilibro, di informare i suoi lettori su una vicenda che non poteva essere ignorata. Un attacco grave, personale e così plateale si commenta da solo. L’Azione cattolica chiede di fare un passo indietro ad un certo giornalismo, e ad una certa politica, che pur di perorare una causa sono disposti a qualsiasi atto per screditare chi ha una diversa opinione.

mercoledì 8 luglio 2009

7 Luglio 2009. La terza enciclica di Benedetto XVI: Caritas in veritate.


Tra i tanti commenti sulla terza enciclica "sociale" di Benedetto XVI, mi è sembrato utile pubblicare l'articolo di Fabio Zavattaro. Spero in seguito di pubblicare altri commenti e interventi che possano aiutarci a capire e comprendere meglio la portata e la grandezza di questa enciclica sulla dottrina sociale della Chiesa per tutti gli uonmi di buona volontà a cui è destinata.

Caritas in veritate, «unità di anima e corpo» di Fabio Zavattaro

Cresce la ricchezza mondiale in termini assoluti, ma aumentano le disparità, nascono nuove povertà, e continua lo scandalo di disuguaglianze clamorose. La corruzione e l’illegalità sono purtroppo presenti sia nel comportamento di soggetti economici e politici dei Paesi ricchi, sia negli stessi Paesi poveri. A non rispettare i diritti umani dei lavoratori sono a volte grandi imprese transnazionali e anche gruppi di produzione locale. Gli aiuti internazionali sono stati spesso distolti dalle loro finalità, per irresponsabilità dei donatori e dei fruitori, mentre ci sono forme eccessive di protezione della conoscenza da parte dei Paesi ricchi, mediante un utilizzo troppo rigido del diritto di proprietà intellettuale, specialmente nel campo sanitario.

È il ritratto della società, nel tempo delle globalizzazioni, secondo Papa Benedetto; ritratto che viene evidenziato dall’enciclica Caritas in veritate, resa nota martedì 7 luglio, e che porta la data del 29 giugno. Sei capitoli, una introduzione e una conclusione, 142 pagine, il testo si pone in continuità con i documenti pontifici di Paolo VI, la Populorum progressio, e di Giovanni Paolo II, la Centesimus annus; ma si trovano anche echi della prima enciclica sociale di Leone XIII, la Rerum novarum.

Lo sviluppo, sottolinea l’enciclica di Papa Benedetto, c’è stato e continua ad essere un fattore positivo che ha tolto dalla miseria miliardi di persone, ma va riconosciuto che lo stesso sviluppo economico è stato e continua ad essere gravato da distorsioni e drammatici problemi, messi ancora più in risalto dall’attuale situazione di crisi. Per questo di fronte a una attività finanziaria per lo più speculativa, a flussi migratori spesso provocati e mal gestiti, allo sfruttamento sregolato delle risorse della terra, occorre essere capaci di nuove responsabilità, di riscoprire valori di fondo su cui costruire il futuro. La crisi ci obbliga, scrive il Papa, ad approfondire alcuni aspetti dello sviluppo economico integrale alla luce della carità nella verità.

La prima sfida che indica Papa Benedetto è quella del lavoro per tutti. Scrive: «Serve garantire a tutti l’accesso al lavoro, e anzi a un lavoro decente. Bisogna rafforzare e rilanciare il ruolo dei sindacati, combattere la precarizzazione e – a meno che non comporti reali benefici per entrambi i Paesi coinvolti – la delocalizzazione dei posti di lavoro». Di più «non è lecito delocalizzare solo per godere di particolari condizioni di favore, o peggio per sfruttamento». In molti Paesi poveri rimane lo scandalo della fame. Dare da mangiare agli affamati, non è solo «un imperativo etico per la Chiesa», ma è divenuto, «anche un traguardo da perseguire per salvaguardare la pace e la stabilità del pianeta». La fame non dipende tanto da scarsità materiale, quanto piuttosto da scarsità di risorse sociali, la più importante delle quali è di natura istituzionale. È necessario che maturi «una coscienza solidale che consideri l’alimentazione e l’accesso all’acqua come diritti universali di tutti gli esseri umani, senza distinzioni né discriminazioni».

Il Papa poi sottolinea come il rispetto per la vita non possa essere disgiunto dallo sviluppo dei popoli: «L’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo», mentre in varie parti del mondo si sviluppano forme di controllo demografico che «giungono a imporre anche l’aborto», e nei Paesi sviluppati si è diffusa una «mentalità antinatalista che spesso si cerca di trasmettere anche ad altri Stati come se fosse un progresso culturale».

Serve dunque una economia etica, scrive ancora il Papa, amica della persona. La realtà mostra che «la convinzione della esigenza di autonomia dell’economia, che non deve accettare influenze di carattere morale, ha spinto l’uomo ad abusare dello strumento economico in modo persino distruttivo. A lungo andare, queste convinzioni hanno portato a sistemi economici, sociali e politici che hanno conculcato la libertà della persona e dei corpi sociali e che, proprio per questo, non sono stati in grado di assicurare la giustizia che promettevano». Lo sviluppo invece, «se vuole essere autenticamente umano», deve «fare spazio al principio di gratuità». Ciò vale anche per il mercato: il profitto non va demonizzato, ma deve essere finalizzato al perseguimento del bene comune.

Il tema dello sviluppo, scrive ancora il Papa, è oggi fortemente collegato anche ai doveri che nascono dal rapporto dell’uomo con la natura: «L’accaparramento delle risorse energetiche non rinnovabili da parte di alcuni Stati, gruppi di potere e imprese costituisce, infatti, un grave impedimento per lo sviluppo dei Paesi poveri». La comunità internazionale deve perciò «trovare le strade istituzionali per disciplinare lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili». «Le società tecnologicamente avanzate possono e devono diminuire il proprio fabbisogno energetico”, mentre deve “avanzare la ricerca di energie alternative». Alla fine «è necessario un effettivo cambiamento di mentalità che ci induca ad adottare nuovi stili di vita».

«Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell’uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale. È una contraddizione chiedere alle nuove generazioni il rispetto dell’ambiente naturale, quando l’educazione e le leggi non le aiutano a rispettare se stesse».

Papa Benedetto non dimentica nemmeno i migranti, che «recano un contributo significativo allo sviluppo economico del Paese ospite con il loro lavoro, oltre che a quello del Paese d’origine grazie alle rimesse finanziarie». Un fenomeno complesso che non può essere affrontato da un paese solo; ma anche per i Paesi che li ospitano, perché i migranti, scrive il Papa, «non possono essere considerati come una merce o una mera forza lavoro».


Lo sviluppo dei popoli, in definitiva «dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia». A questo obiettivo il cristianesimo fornisce un aiuto indispensabile, con il concetto di unità del genere umano, composto dai figli di Dio. «Manifestazione particolare della carità e criterio guida per la collaborazione fraterna di credenti e non credenti è senz’altro il principio di sussidiarietà, espressione dell’inalienabile libertà umana. La sussidiarietà è prima di tutto un aiuto alla persona, attraverso l’autonomia dei corpi intermedi». Si tratta quindi di un principio «particolarmente adatto a governare la globalizzazione e a orientarla verso un vero sviluppo umano», ed è anche «l’antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista», evitando che gli aiuti internazionali possano mantenere un popolo in uno stato di dipendenza.

Infine, per Papa Benedetto è anche fortemente sentita anche l’urgenza della riforma sia dell’Onu che «dell’architettura economica e finanziaria internazionale, affinché si possa dare reale concretezza al concetto di famiglia di Nazioni». Serve per il Papa, la presenza di una «vera autorità politica mondiale», che goda di «potere effettivo» e si dovrebbe, infine, istituire «un grado superiore di ordinamento internazionale» per governare la globalizzazione.

In conclusione, lo sviluppo per essere vero, deve comprendere una crescita spirituale oltre che materiale, perché la persona umana è un’«unità di anima e corpo», nata dall’amore creatore di Dio e destinata a vivere eternamente.

lunedì 22 giugno 2009

21 Giugno 2009. Chiusura anno sociale dell'AC di Mineo.


Ieri sera i soci di Ac, amici e familiari, hanno concluso l'anno sociale con un momento di riflessione, di meditazione e di confronto sull'anno trascorso (chiusura del Giubileo di Santa Agrippina, il mese della Pace con la riflessioni e le celebrazioni, la settimana sociale conclusa con l'incontro tenutosi a Mineo il 28 maggio in memoria dei caduti sul posto di lavoro, la Quaresima incentrata sull'ascolto della Parola di Dio attraverso l'educazione alla "lectio divina", la settimana della comunità con l'incontro sul "discernimento comunitario", la partecipazione agli incontri sulla Dottrina Sociale della Chiesa, ecc.)

Un rammarico: la mancanza di giovani e di animatori per l'ACR. Speriamo il prossimo anno di ricominciare con qualche animatore di buona volontà con la voglia di diventare santo e di spendersi per gli altri. E' un impegno ed una priorità per tutta la comunità parrocchiale. Fra pochi giorni inizierà il Grest inter-parrocchiale...poi ci sarà a settembre il campo scuola parrocchiale per i giovani.
Speriamo bene.


Infine, con la presenza di Padre Nenè e del diacono, D. Antonello Messina, abbiamo concluso la serata con il momento di fraternità.
Stante la bravura delle "cuoche" anche questo momento è stato molto apprezzato e...consumato.

venerdì 19 giugno 2009

19.06.09. Inizio dell'Anno Sacerdotale.


LETTERA DEL SANTO PADRE, BENEDETTO XVI, PER L'INDIZIONE DELL'ANNO SACERDOTALE IN OCCASIONE DEL 150° ANNIVERSARIO DEL "DIE NATALIS" DI GIOVANNI MARIA VIANNEY.



Cari fratelli nel Sacerdozio,

nella prossima solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, venerdì 19 giugno 2009 – giornata tradizionalmente dedicata alla preghiera per la santificazione del clero –, ho pensato di indire ufficialmente un “Anno Sacerdotale” in occasione del 150° anniversario del “dies natalis” di Giovanni Maria Vianney, il Santo Patrono di tutti i parroci del mondo.[1]
Tale anno, che vuole contribuire a promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi, si concluderà nella stessa solennità del 2010.
“Il Sacerdozio è l'amore del cuore di Gesù”, soleva dire il Santo Curato d’Ars.[2]
Questa toccante espressione ci permette anzitutto di evocare con tenerezza e riconoscenza l’immenso dono che i sacerdoti costituiscono non solo per la Chiesa, ma anche per la stessa umanità.
Penso a tutti quei presbiteri che offrono ai fedeli cristiani e al mondo intero l’umile e quotidiana proposta delle parole e dei gesti di Cristo, cercando di aderire a Lui con i pensieri, la volontà, i sentimenti e lo stile di tutta la propria esistenza. Come non sottolineare le loro fatiche apostoliche, il loro servizio infaticabile e nascosto, la loro carità tendenzialmente universale? E che dire della fedeltà coraggiosa di tanti sacerdoti che, pur tra difficoltà e incomprensioni, restano fedeli alla loro vocazione: quella di “amici di Cristo”, da Lui particolarmente chiamati, prescelti e inviati?

Io stesso porto ancora nel cuore il ricordo del primo parroco accanto al quale esercitai il mio ministero di giovane prete: egli mi lasciò l’esempio di una dedizione senza riserve al proprio servizio pastorale, fino a trovare la morte nell’atto stesso in cui portava il viatico a un malato grave.

Tornano poi alla mia memoria gli innumerevoli confratelli che ho incontrato e che continuo ad incontrare, anche durante i miei viaggi pastorali nelle diverse nazioni, generosamente impegnati nel quotidiano esercizio del loro ministero sacerdotale. Ma l’espressione usata dal Santo Curato evoca anche la trafittura del Cuore di Cristo e la corona di spine che lo avvolge. Il pensiero va, di conseguenza, alle innumerevoli situazioni di sofferenza in cui molti sacerdoti sono coinvolti, sia perché partecipi dell’esperienza umana del dolore nella molteplicità del suo manifestarsi, sia perché incompresi dagli stessi destinatari del loro ministero: come non ricordare i tanti sacerdoti offesi nella loro dignità, impediti nella loro missione, a volte anche perseguitati fino alla suprema testimonianza del sangue?

Ci sono, purtroppo, anche situazioni, mai abbastanza deplorate, in cui è la Chiesa stessa a soffrire per l’infedeltà di alcuni suoi ministri. È il mondo a trarne allora motivo di scandalo e di rifiuto.

Ciò che massimamente può giovare in tali casi alla Chiesa non è tanto la puntigliosa rilevazione delle debolezze dei suoi ministri, quanto una rinnovata e lieta coscienza della grandezza del dono di Dio, concretizzato in splendide figure di generosi Pastori, di Religiosi ardenti di amore per Dio e per le anime, di Direttori spirituali illuminati e pazienti.

A questo proposito, gli insegnamenti e gli esempi di san Giovanni Maria Vianney possono offrire a tutti un significativo punto di riferimento: il Curato d’Ars era umilissimo, ma consapevole, in quanto prete, d’essere un dono immenso per la sua gente: “Un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio, è il più grande tesoro che il buon Dio possa accordare ad una parrocchia e uno dei doni più preziosi della misericordia divina”.[3]

Parlava del sacerdozio come se non riuscisse a capacitarsi della grandezza del dono e del compito affidati ad una creatura umana: “Oh come il prete è grande!... Se egli si comprendesse, morirebbe... Dio gli obbedisce: egli pronuncia due parole e Nostro Signore scende dal cielo alla sua voce e si rinchiude in una piccola ostia...”.[4]
E spiegando ai suoi fedeli l’importanza dei sacramenti diceva: “Tolto il sacramento dell'Ordine, noi non avremmo il Signore. Chi lo ha riposto là in quel tabernacolo? Il sacerdote. Chi ha accolto la vostra anima al primo entrare nella vita? Il sacerdote. Chi la nutre per darle la forza di compiere il suo pellegrinaggio? Il sacerdote. Chi la preparerà a comparire innanzi a Dio, lavandola per l'ultima volta nel sangue di Gesù Cristo? Il sacerdote, sempre il sacerdote. E se quest'anima viene a morire [per il peccato], chi la risusciterà, chi le renderà la calma e la pace? Ancora il sacerdote... Dopo Dio, il sacerdote è tutto!... Lui stesso non si capirà bene che in cielo”.[5]

Queste affermazioni, nate dal cuore sacerdotale del santo parroco, possono apparire eccessive. In esse, tuttavia, si rivela l’altissima considerazione in cui egli teneva il sacramento del sacerdozio. Sembrava sopraffatto da uno sconfinato senso di responsabilità: “Se comprendessimo bene che cos’è un prete sulla terra, moriremmo: non di spavento, ma di amore... Senza il prete la morte e la passione di Nostro Signore non servirebbero a niente. È il prete che continua l’opera della Redenzione sulla terra... Che ci gioverebbe una casa piena d’oro se non ci fosse nessuno che ce ne apre la porta? Il prete possiede la chiave dei tesori celesti: è lui che apre la porta; egli è l’economo del buon Dio; l’amministratore dei suoi beni... Lasciate una parrocchia, per vent’anni, senza prete, vi si adoreranno le bestie... Il prete non è prete per sé, lo è per voi”.[6]

Era giunto ad Ars, un piccolo villaggio di 230 abitanti, preavvertito dal Vescovo che avrebbe trovato una situazione religiosamente precaria: “Non c'è molto amor di Dio in quella parrocchia; voi ce ne metterete”. Era, di conseguenza, pienamente consapevole che doveva andarvi ad incarnare la presenza di Cristo, testimoniandone la tenerezza salvifica: “[Mio Dio], accordatemi la conversione della mia parrocchia; accetto di soffrire tutto quello che vorrete per tutto il tempo della mia vita!”, fu con questa preghiera che iniziò la sua missione.[7] Alla conversione della sua parrocchia il Santo Curato si dedicò con tutte le sue energie, ponendo in cima ad ogni suo pensiero la formazione cristiana del popolo a lui affidato.

Cari fratelli nel Sacerdozio, chiediamo al Signore Gesù la grazia di poter apprendere anche noi il metodo pastorale di san Giovanni Maria Vianney!

Ciò che per prima cosa dobbiamo imparare è la sua totale identificazione col proprio ministero. In Gesù, Persona e Missione tendono a coincidere: tutta la sua azione salvifica era ed è espressione del suo “Io filiale” che, da tutta l’eternità, sta davanti al Padre in atteggiamento di amorosa sottomissione alla sua volontà. Con umile ma vera analogia, anche il sacerdote deve anelare a questa identificazione.

Non si tratta certo di dimenticare che l’efficacia sostanziale del ministero resta indipendente dalla santità del ministro; ma non si può neppure trascurare la straordinaria fruttuosità generata dall’incontro tra la santità oggettiva del ministero e quella soggettiva del ministro.

Il Curato d’Ars iniziò subito quest’umile e paziente lavoro di armonizzazione tra la sua vita di ministro e la santità del ministero a lui affidato, decidendo di “abitare” perfino materialmente nella sua chiesa parrocchiale: “Appena arrivato egli scelse la chiesa a sua dimora... Entrava in chiesa prima dell’aurora e non ne usciva che dopo l’Angelus della sera. Là si doveva cercarlo quando si aveva bisogno di lui”, si legge nella prima biografia.[8]

L’esagerazione devota del pio agiografo non deve farci trascurare il fatto che il Santo Curato seppe anche “abitare” attivamente in tutto il territorio della sua parrocchia: visitava sistematicamente gli ammalati e le famiglie; organizzava missioni popolari e feste patronali; raccoglieva ed amministrava denaro per le sue opere caritative e missionarie; abbelliva la sua chiesa e la dotava di arredi sacri; si occupava delle orfanelle della “Providence” (un istituto da lui fondato) e delle loro educatrici; si interessava dell’istruzione dei bambini; fondava confraternite e chiamava i laici a collaborare con lui.

Il suo esempio mi induce a evidenziare gli spazi di collaborazione che è doveroso estendere sempre più ai fedeli laici, coi quali i presbiteri formano l’unico popolo sacerdotale [9] e in mezzo ai quali, in virtù del sacerdozio ministeriale, si trovano “per condurre tutti all’unità della carità, ‘amandosi l’un l’altro con la carità fraterna, prevenendosi a vicenda nella deferenza’ (Rm 12,10)”.[10]

È da ricordare, in questo contesto, il caloroso invito con il quale il Concilio Vaticano II incoraggia i presbiteri a “riconoscere e promuovere sinceramente la dignità dei laici, nonché il loro ruolo specifico nell’ambito della missione della Chiesa… Siano pronti ad ascoltare il parere dei laici, considerando con interesse fraterno le loro aspirazioni e giovandosi della loro esperienza e competenza nei diversi campi dell’attività umana, in modo da poter insieme a loro riconoscere i segni dei tempi”.[11]

Ai suoi parrocchiani il Santo Curato insegnava soprattutto con la testimonianza della vita. Dal suo esempio i fedeli imparavano a pregare, sostando volentieri davanti al tabernacolo per una visita a Gesù Eucaristia.[12]

“Non c’è bisogno di parlar molto per ben pregare” – spiegava loro il Curato - “Si sa che Gesù è là, nel santo tabernacolo: apriamogli il nostro cuore, rallegriamoci della sua santa presenza. È questa la migliore preghiera”.[13]

Ed esortava: “Venite alla comunione, fratelli miei, venite da Gesù. Venite a vivere di Lui per poter vivere con Lui...[14] “È vero che non ne siete degni, ma ne avete bisogno!”.[15]

Tale educazione dei fedeli alla presenza eucaristica e alla comunione acquistava un’efficacia particolarissima, quando i fedeli lo vedevano celebrare il Santo Sacrificio della Messa. Chi vi assisteva diceva che “non era possibile trovare una figura che meglio esprimesse l’adorazione... Contemplava l’Ostia amorosamente”.[16] “Tutte le buone opere riunite non equivalgono al sacrificio della Messa, perché quelle sono opere di uomini, mentre la Santa Messa è opera di Dio»,[17] diceva.

Era convinto che dalla Messa dipendesse tutto il fervore della vita di un prete: «La causa della rilassatezza del sacerdote è che non fa attenzione alla Messa! Mio Dio, come è da compiangere un prete che celebra come se facesse una cosa ordinaria!”.[18] Ed aveva preso l’abitudine di offrire sempre, celebrando, anche il sacrificio della propria vita: “Come fa bene un prete ad offrirsi a Dio in sacrificio tutte le mattine!”.[19]

Questa immedesimazione personale al Sacrificio della Croce lo conduceva – con un solo movimento interiore – dall’altare al confessionale.

I sacerdoti non dovrebbero mai rassegnarsi a vedere deserti i loro confessionali né limitarsi a constatare la disaffezione dei fedeli nei riguardi di questo sacramento.

Al tempo del Santo Curato, in Francia, la confessione non era né più facile, né più frequente che ai nostri giorni, dato che la tormenta rivoluzionaria aveva soffocato a lungo la pratica religiosa.
Ma egli cercò in ogni modo, con la predicazione e con il consiglio persuasivo, di far riscoprire ai suoi parrocchiani il significato e la bellezza della Penitenza sacramentale, mostrandola come un’esigenza intima della Presenza eucaristica. Seppe così dare il via a un circolo virtuoso.

Con le lunghe permanenze in chiesa davanti al tabernacolo fece sì che i fedeli cominciassero ad imitarlo, recandovisi per visitare Gesù, e fossero, al tempo stesso, sicuri di trovarvi il loro parroco, disponibile all’ascolto e al perdono.

In seguito, fu la folla crescente dei penitenti, provenienti da tutta la Francia, a trattenerlo nel confessionale fino a 16 ore al giorno. Si diceva allora che Ars era diventata “il grande ospedale delle anime”.[20] “La grazia che egli otteneva [per la conversione dei peccatori] era sì forte che essa andava a cercarli senza lasciar loro un momento di tregua!”, dice il primo biografo.[21] Il Santo Curato non la pensava diversamente, quando diceva: “Non è il peccatore che ritorna a Dio per domandargli perdono, ma è Dio stesso che corre dietro al peccatore e lo fa tornare a Lui”.[22] “Questo buon Salvatore è così colmo d’amore che ci cerca dappertutto”.[23]

Tutti noi sacerdoti dovremmo sentire che ci riguardano personalmente quelle parole che egli metteva in bocca a Cristo: “Incaricherò i miei ministri di annunciare ai peccatori che sono sempre pronto a riceverli, che la mia misericordia è infinita”.[24]

Dal Santo Curato d’Ars noi sacerdoti possiamo imparare non solo un’inesauribile fiducia nel sacramento della Penitenza che ci spinga a rimetterlo al centro delle nostre preoccupazioni pastorali, ma anche il metodo del “dialogo di salvezza” che in esso si deve svolgere.
Il Curato d’Ars aveva una maniera diversa di atteggiarsi con i vari penitenti. Chi veniva al suo confessionale attratto da un intimo e umile bisogno del perdono di Dio, trovava in lui l’incoraggiamento ad immergersi nel “torrente della divina misericordia” che trascina via tutto nel suo impeto. E se qualcuno era afflitto al pensiero della propria debolezza e incostanza, timoroso di future ricadute, il Curato gli rivelava il segreto di Dio con un’espressione di toccante bellezza: “Il buon Dio sa tutto. Prima ancora che voi vi confessiate, sa già che peccherete ancora e tuttavia vi perdona. Come è grande l’amore del nostro Dio che si spinge fino a dimenticare volontariamente l’avvenire, pur di perdonarci!”.[25]
A chi, invece, si accusava in maniera tiepida e quasi indifferente, offriva, attraverso le sue stesse lacrime, la seria e sofferta evidenza di quanto quell’atteggiamento fosse “abominevole”: “Piango perché voi non piangete”,[26] diceva. “Se almeno il Signore non fosse così buono! Ma è così buono! Bisogna essere barbari a comportarsi così davanti a un Padre così buono!”.[27]

Faceva nascere il pentimento nel cuore dei tiepidi, costringendoli a vedere, con i propri occhi, la sofferenza di Dio per i peccati quasi “incarnata” nel volto del prete che li confessava. A chi, invece, si presentava già desideroso e capace di una più profonda vita spirituale, spalancava le profondità dell’amore, spiegando l’indicibile bellezza di poter vivere uniti a Dio e alla sua presenza: “Tutto sotto gli occhi di Dio, tutto con Dio, tutto per piacere a Dio... Com’è bello!”.[28] E insegnava loro a pregare: “Mio Dio, fammi la grazia di amarti tanto quanto è possibile che io t’ami”.[29]

Il Curato d’Ars, nel suo tempo, ha saputo trasformare il cuore e la vita di tante persone, perché è riuscito a far loro percepire l’amore misericordioso del Signore. Urge anche nel nostro tempo un simile annuncio e una simile testimonianza della verità dell’Amore: Deus caritas est (1 Gv 4,8).

Con la Parola e con i Sacramenti del suo Gesù, Giovanni Maria Vianney sapeva edificare il suo popolo, anche se spesso fremeva convinto della sua personale inadeguatezza, al punto da desiderare più volte di sottrarsi alle responsabilità del ministero parrocchiale di cui si sentiva indegno. Tuttavia con esemplare obbedienza restò sempre al suo posto, perché lo divorava la passione apostolica per la salvezza delle anime. Cercava di aderire totalmente alla propria vocazione e missione mediante un’ascesi severa: “La grande sventura per noi parroci - deplorava il Santo - è che l’anima si intorpidisce” [30]; ed intendeva con questo un pericoloso assuefarsi del pastore allo stato di peccato o di indifferenza in cui vivono tante sue pecorelle. Egli teneva a freno il corpo, con veglie e digiuni, per evitare che opponesse resistenze alla sua anima sacerdotale. E non rifuggiva dal mortificare se stesso a bene delle anime che gli erano affidate e per contribuire all’espiazione dei tanti peccati ascoltati in confessione. Spiegava ad un confratello sacerdote: “Vi dirò qual è la mia ricetta: dò ai peccatori una penitenza piccola e il resto lo faccio io al loro posto”.[31]

Al di là delle concrete penitenze a cui il Curato d’Ars si sottoponeva, resta comunque valido per tutti il nucleo del suo insegnamento: le anime costano il sangue di Gesù e il sacerdote non può dedicarsi alla loro salvezza se rifiuta di partecipare personalmente al “caro prezzo” della redenzione.

Nel mondo di oggi, come nei difficili tempi del Curato d’Ars, occorre che i presbiteri nella loro vita e azione si distinguano per una forte testimonianza evangelica.

Ha giustamente osservato Paolo VI: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”.[32]

Perché non nasca un vuoto esistenziale in noi e non sia compromessa l’efficacia del nostro ministero, occorre che ci interroghiamo sempre di nuovo: “Siamo veramente pervasi dalla Parola di Dio? È vero che essa è il nutrimento di cui viviamo, più di quanto lo siano il pane e le cose di questo mondo? La conosciamo davvero? La amiamo? Ci occupiamo interiormente di questa Parola al punto che essa realmente dia un’impronta alla nostra vita e formi il nostro pensiero?”.[33] Come Gesù chiamò i Dodici perché stessero con Lui (cfr Mc 3,14) e solo dopo li mandò a predicare, così anche ai giorni nostri i sacerdoti sono chiamati ad assimilare quel “nuovo stile di vita” che è stato inaugurato dal Signore Gesù ed è stato fatto proprio dagli Apostoli.[34]

Fu proprio l’adesione senza riserve a questo “nuovo stile di vita” che caratterizzò l’impegno ministeriale del Curato d’Ars. Il Papa Giovanni XXIII nella Lettera enciclica Sacerdotii nostri primordia, pubblicata nel 1959, primo centenario della morte di san Giovanni Maria Vianney, ne presentava la fisionomia ascetica con particolare riferimento al tema dei “tre consigli evangelici”, giudicati necessari anche per i presbiteri: “Se, per raggiungere questa santità di vita, la pratica dei consigli evangelici non è imposta al sacerdote in virtù dello stato clericale, essa si presenta nondimeno a lui, come a tutti i discepoli del Signore, come la via regolare della santificazione cristiana”.[35]
Il Curato d’Ars seppe vivere i “consigli evangelici” nelle modalità adatte alla sua condizione di presbitero. La sua povertà, infatti, non fu quella di un religioso o di un monaco, ma quella richiesta ad un prete: pur maneggiando molto denaro (dato che i pellegrini più facoltosi non mancavano di interessarsi alle sue opere di carità), egli sapeva che tutto era donato alla sua chiesa, ai suoi poveri, ai suoi orfanelli, alle ragazze della sua “Providence”,[36] alle sue famiglie più disagiate. Perciò egli “era ricco per dare agli altri ed era molto povero per se stesso”.[37]
Spiegava: “Il mio segreto è semplice: dare tutto e non conservare niente”.[38] Quando si trovava con le mani vuote, ai poveri che si rivolgevano a lui diceva contento: “Oggi sono povero come voi, sono uno dei vostri”.[39] Così, alla fine della vita, poté affermare con assoluta serenità: “Non ho più niente. Il buon Dio ora può chiamarmi quando vuole!”.[40] Anche la sua castità era quella richiesta a un prete per il suo ministero. Si può dire che era la castità conveniente a chi deve toccare abitualmente l’Eucaristia e abitualmente la guarda con tutto il trasporto del cuore e con lo stesso trasporto la dona ai suoi fedeli.

Dicevano di lui che “la castità brillava nel suo sguardo”, e i fedeli se ne accorgevano quando egli si volgeva a guardare il tabernacolo con gli occhi di un innamorato.[41]

Anche l’obbedienza di san Giovanni Maria Vianney fu tutta incarnata nella sofferta adesione alle quotidiane esigenze del suo ministero. È noto quanto egli fosse tormentato dal pensiero della propria inadeguatezza al ministero parrocchiale e dal desiderio di fuggire “a piangere la sua povera vita, in solitudine”.[42]

Solo l’obbedienza e la passione per le anime riuscivano a convincerlo a restare al suo posto. A se stesso e ai suoi fedeli spiegava: “Non ci sono due maniere buone di servire Dio. Ce n’è una sola: servirlo come lui vuole essere servito”.[43] La regola d’oro per una vita obbediente gli sembrava questa: “Fare solo ciò che può essere offerto al buon Dio”.[44]

Nel contesto della spiritualità alimentata dalla pratica dei consigli evangelici, mi è caro rivolgere ai sacerdoti, in quest’Anno a loro dedicato, un particolare invito a saper cogliere la nuova primavera che lo Spirito sta suscitando ai giorni nostri nella Chiesa, non per ultimo attraverso i Movimenti ecclesiali e le nuove Comunità. “Lo Spirito nei suoi doni è multiforme… Egli soffia dove vuole. Lo fa in modo inaspettato, in luoghi inaspettati e in forme prima non immaginate… ma ci dimostra anche che Egli opera in vista dell’unico Corpo e nell’unità dell’unico Corpo”.[45]
A questo proposito, vale l’indicazione del Decreto Presbyterorum ordinis: “Sapendo discernere quali spiriti abbiano origine da Dio, (i presbiteri) devono scoprire con senso di fede i carismi, sia umili che eccelsi, che sotto molteplici forme sono concessi ai laici, devono ammetterli con gioia e fomentarli con diligenza”.[46]

Tali doni che spingono non pochi a una vita spirituale più elevata, possono giovare non solo per i fedeli laici ma per gli stessi ministri. Dalla comunione tra ministri ordinati e carismi, infatti, può scaturire “un valido impulso per un rinnovato impegno della Chiesa nell’annuncio e nella testimonianza del Vangelo della speranza e della carità in ogni angolo del mondo”.[47]

Vorrei inoltre aggiungere, sulla scorta dell’Esortazione apostolica Pastores dabo vobis del Papa Giovanni Paolo II, che il ministero ordinato ha una radicale ‘forma comunitaria’ e può essere assolto solo nella comunione dei presbiteri con il loro Vescovo.[48]

Occorre che questa comunione fra i sacerdoti e col proprio Vescovo, basata sul sacramento dell’Ordine e manifestata nella concelebrazione eucaristica, si traduca nelle diverse forme concrete di una fraternità sacerdotale effettiva ed affettiva.[49] Solo così i sacerdoti sapranno vivere in pienezza il dono del celibato e saranno capaci di far fiorire comunità cristiane nelle quali si ripetano i prodigi della prima predicazione del Vangelo.

L’Anno Paolino che volge al termine orienta il nostro pensiero anche verso l’Apostolo delle genti, nel quale rifulge davanti ai nostri occhi uno splendido modello di sacerdote, totalmente “donato” al suo ministero. “L’amore del Cristo ci possiede – egli scriveva – e noi sappiamo bene che uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti” (2 Cor 5,14). Ed aggiungeva: “Egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro” (2 Cor. 5,15).

Quale programma migliore potrebbe essere proposto ad un sacerdote impegnato ad avanzare sulla strada delle perfezione cristiana?

Cari sacerdoti, la celebrazione del 150.mo anniversario della morte di san Giovanni Maria Vianney (1859) segue immediatamente le celebrazioni appena concluse del 150.mo anniversario delle apparizioni di Lourdes (1858). Già nel 1959 il beato Papa Giovanni XXIII aveva osservato: “Poco prima che il Curato d'Ars concludesse la sua lunga carriera piena di meriti, la Vergine Immacolata era apparsa, in un’altra regione di Francia, ad una fanciulla umile e pura, per trasmetterle un messaggio di preghiera e di penitenza, di cui è ben nota, da un secolo, l'immensa risonanza spirituale. In realtà la vita del santo sacerdote, di cui celebriamo il ricordo, era in anticipo un’illustrazione vivente delle grandi verità soprannaturali insegnate alla veggente di Massabielle. Egli stesso aveva per l'Immacolata Concezione della Santissima Vergine una vivissima devozione, lui che nel 1836 aveva consacrato la sua parrocchia a Maria concepita senza peccato, e doveva accogliere con tanta fede e gioia la definizione dogmatica del 1854”.[50] Il Santo Curato ricordava sempre ai suoi fedeli che “Gesù Cristo dopo averci dato tutto quello che ci poteva dare, vuole ancora farci eredi di quanto egli ha di più prezioso, vale a dire della sua Santa Madre”.[51]

Alla Vergine Santissima affido questo Anno Sacerdotale, chiedendole di suscitare nell’animo di ogni presbitero un generoso rilancio di quegli ideali di totale donazione a Cristo ed alla Chiesa che ispirarono il pensiero e l’azione del Santo Curato d’Ars. Con la sua fervente vita di preghiera e il suo appassionato amore a Gesù crocifisso Giovanni Maria Vianney alimentò la sua quotidiana donazione senza riserve a Dio e alla Chiesa. Possa il suo esempio suscitare nei sacerdoti quella testimonianza di unità con il Vescovo, tra loro e con i laici che è, oggi come sempre, tanto necessaria. Nonostante il male che vi è nel mondo, risuona sempre attuale la parola di Cristo ai suoi Apostoli nel Cenacolo: “Nel mondo avrete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo” (Gv 16,33). La fede nel Maestro divino ci dà la forza per guardare con fiducia al futuro. Cari sacerdoti, Cristo conta su di voi. Sull’esempio del Santo Curato d’Ars, lasciatevi conquistare da Lui e sarete anche voi, nel mondo di oggi, messaggeri di speranza, di riconciliazione, di pace!

Con la mia benedizione.

Dal Vaticano, 16 giugno 2009

BENEDICTUS PP. XVI

venerdì 5 giugno 2009

Elezione europee 6 e 7 giugno. Diritto e responsabilità dei cristiani.

Elezioni europee . Appello alla responsabilità
Fin dal progetto dei tre politici cattolici e padri fondatori - il francese Robert Schuman, l'italiano Alcide De Gasperi e il tedesco Konrad Adenauer - la Chiesa ha sempre seguito con attenzione il cammino dell'Europa, accompagnandone e sostenendone il processo di integrazione.
In vista delle elezioni per il Parlamento di Strasburgo (4 -7 giugno 2009), per le quali sono chiamati alle urne 375 milioni di cittadini, ecco alcune dichiarazioni della Commissione degli episcopati della Comunità europea in cui invitano alla partecipazione al voto.

Consiglio delle Conferenze episcopali europee: la responsabilità dei cristiani.
Alla vigilia del voto, padre Duarte Nuno Queiroz de Barros da Cunha, segretario generale del Ccee, spiega a SIR Europa che nelle elezioni europee "è in gioco la scelta dei deputati che discuteranno argomenti di competenza delle Istituzioni europee" ma, precisa, "oltre il 60% delle legislazioni che oggi sono varate in ciascuno dei paesi dell'Unione europea, hanno la loro origine in seno alle Istituzioni europee" e non si tratta unicamente di mere questioni tecniche: "in seno al Parlamento europeo si discutono molte questioni che influenzano la nostra vita e la cultura europea presente e futura" come aborto e matrimonio, pur "sapendo che è di pertinenza della politica degli Stati in materia di famiglia". A Strasburgo, prosegue il segretario Ccee, "si parla di istruzione, di sanità, di ricerca scientifica e anche di religione".
La nostra responsabilità, quindi, "inizia riconoscendo l'importanza di avere persone ben preparate, consapevoli delle conseguenze future dei loro atti e che hanno una visione positiva e cristiana della vita e così da essere in grado di influenzare le decisioni".

Commissione degli episcopati della Comunità europea: un diritto e una responsabilità.
"La Chiesa cattolica ha sostenuto fin dall'inizio il progetto d'integrazione europea e continua a sostenerlo ancora oggi" affermano i vescovi della Comece nella dichiarazione diffusa lo scorso 20 marzo "Costruire una migliore casa europea". "Tutti i cristiani - si legge nel documento - hanno non solamente il diritto ma anche la responsabilità d'impegnarsi attivamente in questo progetto, esercitando il proprio diritto di voto".
Tenuto conto del notevole ruolo svolto dal Parlamento europeo, prosegue la dichiarazione, "ci aspettiamo" che i suoi membri "partecipino e contribuiscano attivamente":
- a "rispettare la vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale";
- a "sostenere la famiglia fondata sul matrimonio - inteso come unione tra un uomo e una donna - come unità di base della società";
- a "promuovere i diritti sociali dei lavoratori";
- a "sostenere una governance economica fondata su valori etici";
- a "promuovere la giustizia nelle relazioni tra l'Unione europea e i Paesi in via di sviluppo";
- a "dimostrare solidarietà tramite politiche di assistenza nei confronti dei membri più deboli";
- a "proteggere il Creato" e a "promuovere la pace nel mondo" con una "politica estera coordinata e coerente"

4 giugno 2009:RIVOLUZIONE ALLA SICILIANA

Su Famiglia Xna del 7.06.09 n. 23 vi è questa intervista al Presidente della Regione Sicilia, on. Raffaele Lombardo. La pubblichiamo anche in questo blog con l'intento di informare ma soprattuto di aprire un dibattito tra gli amici che leggono il blog.

Ha azzerato la Giunta, salvando solo qualche assessore, perché «remava contro, compresi i cattivi consiglieri di Silvio Berlusconi» .
E adesso? «Riparto. E chi ci sta, ci sta».


«Non voglio certamente tradire gli impegni con gli elettori che hanno votato per questa maggioranza politica per il Governo della Sicilia, ma sia chiaro che non si può stare in un Governo e poi remare contro, per cui da questo momento in poi sono chiare due cose: la Sicilia viene prima di tutto, diktat nazionali compresi, e chi rema contro esce dalla giunta e non rientra. Questo messaggio vale anche per i padrini politici degli assessori azzerati».

Il Governatore della Regione Sicilia Raffaele Lombardo, eletto nell’aprile 2008 con il 65,3 per cento dei voti, va per così dire alla guerra, impugnando le armi contro finti amici, nemici molto nascosti e anche avversari che, a sua detta, sono troppo malevoli.

«Scriva pure che questa è una rivoluzione», sottolinea in questa intervista con Famiglia Cristiana il presidente Lombardo, che venerdì 29 maggio ha nominato la nuova Giunta regionale, nella quale ha confermato soltanto sei assessori della precedente e scelto nuovi "tecnici", mentre alcune deleghe le ha tenute per sé.
Lombardo parla girando e rigirando le due fedi che porta all’anulare sinistro, più la coroncina del rosario, mentre sulla mano destra ha il bracciale rosso di san Sebastiano.
«La prima delle mie due fedi è quella del matrimonio con mia moglie Rina, un omaggio a una donna straordinaria, la seconda segna il nostro venticinquesimo di matrimonio, più gli anni di fidanzamento».

• Presidente Lombardo, la travagliata vicenda della riforma sanitaria, fiore all’occhiello del suo Governo, è stata contrastata dalla sua maggioranza e sostenuta dall’opposizione. Ma che maggioranza è la sua, allora?
«Appunto, aver azzerato la Giunta, salvo alcuni assessori che, comunque, hanno lavorato bene, è la conseguenza di un anno di Governo al termine del quale ho deciso di chiudere con tutti gli assessori che ostacolano le riforme e che remano contro».
• Lei allude, mi pare, da un lato al coordinatore del Pdl Giuseppe Castiglione, catanese come lei, e a quella parte del Popolo della libertà legata al ministro della Giustizia Angelino Alfano e al presidente del Senato Renato Schifani, mentre si ritrova al suo fianco Gianfranco Micciché con la sua corrente del Pdl opposta ai personaggi citati. In effetti, sembra quasi un regolamento dei conti...
«Oppure sembra un servizio fatto alla Sicilia. Le faccio un esempio: se, poniamo il caso, qualcuno di quelli che lei ha citato è andato a Roma a dire al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi di non erogare alla Sicilia i fondi Fas che al Nord sono stati dati e a noi no, cosa debbo pensare? Che questi signori lavorano per i siciliani oppure no? Per troppi anni la Sicilia è stata governata da Roma. Adesso questi signori debbono scegliere o Roma o la Sicilia; non si possono servire due padroni».
• Ma Silvio Berlusconi ha detto che quei soldi non ve li dà ancora perché voi avete intenzione di spenderli per le guardie forestali, e non per gli investimenti...
«I 30 mila addetti della guardia forestale me li hanno lasciati i miei predecessori, non me li sono evidentemente inventati io. Ma Berlusconi sbaglia, a noi quei soldi servono proprio per fare le strade e le ferrovie, che oggi sono le più antiquate del Paese».
• Comunque, non le sembra abbastanza singolare che sia stata proprio la sua maggioranza quella più avversa alla riforma sanitaria? Una cosa piuttosto strana, non trova?
«Questa è la prova definitiva che una maggioranza che ha il cuore e la testa a Roma, invece che qui in Sicilia, alla fine all’esame di una vera autonomia non regge. La nuova Giunta lascia alcune caselle in bianco per dar modo a questi signori di pensarci un poco. Per esempio, secondo me dovrebbero rendersi conto chiaramente che con il federalismo le Regioni debbono pensare un po’ di più a sé stesse».
• Tutte le Regioni italiane? E quelle del Mezzogiorno?
«Noi del Meridione ovviamente molto di più. Si rende conto che, mentre il Sud è in ginocchio, viene sollevata la questione del Nord come unica questione nazionale? Ma siamo impazziti? È per questo motivo che ho fondato il Movimento per le Autonomie, prima come movimento siciliano, poi per tutto il Sud e, più in là, anche nazionale. Sarà il partito degli interessi locali, con una struttura nazionale molto leggera».
• Presidente Lombardo, lei si è liberato di una Giunta che l’ha ostacolata per varare un Governo di persone completamente dalla sua parte: questo è il segno che dopo la riforma sanitaria e la formazione professionale vuole fare qualcosa di importante?
«La riforma della raccolta e la gestione dei rifiuti, che è molto più importante di quella sanitaria, la quale pure ha colpito molte rendite e tutta una serie di interessi particolari. È contro questo che i cattivi rematori hanno fatto da ostacolo in questi ultimi mesi. Mi lasci dire che questa cosa è molto strana e molto, molto, molto grave».
• Lei forse vuole alludere ai grandi interessi che girano intorno alla raccolta dei rifiuti e alla costruzione dei termovalorizzatori?
«Esattamente, ma io sono determinato a mettere ordine. Conosco bene i rischi gravi che corro, ma vado avanti».
L’opposizione è prudente, ma nei momenti delle riforme le è stata a fianco: pensa di coinvolgerla?
«È tradizione che l’opposizione in Sicilia voti per l’interesse dei siciliani. Quel che lei dice è vero, ma ognuno deve fare il proprio mestiere secondo il mandato degli elettori. Nella nuova Giunta comunque entra anche Caterina Chinnici, figlia del magistrato ucciso dalla mafia, e con lei altre persone di profilo alto. Anche questo è un segno che penso alla Sicilia e non solo a maggioranze o opposizioni che siano».
Guglielmo Nardocci

domenica 31 maggio 2009

31 maggio: La nostra solidarietà è più forte della crisi

L’Azione Cattolica Italiana impegnata a sostenere la Colletta nazionale promossa dalla Chiesa italiana. Una sollecitazione ai soci a partecipare con generosità: «Essere solidali significa sentirsi comunità cristiana e comunità civile». Si invitano tutti i soci ad aderire con generosità alla colletta lanciata dalla Cei per oggi, domenica di Pentecoste.
L’iniziativa, promossa dalla C.E.I. in collaborazione con le banche nazionali, servirà ad alimentare il “prestito della speranza”, pensato per sostenere le famiglie in difficoltà economica a causa della crisi.

«La perdita del lavoro è un dramma non solo per lo spettro della povertà che si avvicina, ma anche per lo sconforto, l’angoscia e l’isolamento che può provocare. Per questo, come cristiani ma anche come cittadini, abbiamo il dovere di farci vicini a chi sta subendo più pesantemente le conseguenze della crisi. La solidarietà non è solo un aiuto concreto, ma anche un messaggio di speranza».
«La nostra solidarietà è più forte della crisi”, cosi recita il manifesto che accompagna la Colletta nazionale della Chiesa italiana.
Non solo uno slogan, ha spiegato il cardinale Angelo Bagnasco, ma una prospettiva che «intende dare una risposta concreta a quelle famiglie monoreddito che abbiano perso l’unico sostentamento, con tre figli a carico oppure segnate da situazioni di grave malattia o disabilità».
Il card. Bagnasco ricorda anche come «la scelta della famiglia non è casuale, ma corrisponde ad una convinzione profonda che vede in essa non soltanto l’ammortizzatore sociale più efficiente, ma anche la trama relazionale più necessaria per un armonico sviluppo delle persone e dunque della società».

«Per l’Azione cattolica, la colletta nazionale riveste un grande valore pedagogico perché rappresenta un’azione che educa in concreto alla solidarietà e alla condivisione, all’apertura del cuore e alla generosità. Non solo: aiuta a vivere questo momento di obiettiva difficoltà per tanti imparando a rimuovere le cause profonde della crisi, e cioè l’avidità del denaro e la cupidigia del possedere».

Con il suo impegno a favore della colletta nazionale, inoltre, l’Ac raccoglie l’invito dei vescovi a « dar voce alla gente e alle preoccupazioni generali che non sono poche né piccole ». In questo senso già molte sono nel nostro Paese le realtà che vedono le donne e gli uomini di Ac impegnati in iniziative e in progetti che, all’interno delle singole diocesi e parrocchie, hanno cominciato a dare risposte concrete ai bisogni via via emergenti.

N.B. È possibile contribuire al Fondo di garanzia per le famiglie in difficoltà da subito attraverso:
*Bonifico bancario su conto corrente di Banca Prossima (Gruppo Intesa Sanpaolo S.p.A.) - codice IBAN intestato a: CEI - PRESTITO DELLA SPERANZA IT19 Q033 5901 6001 0000 0006 893
(I versamenti effettuati presso gli sportelli Gruppo Intesa Sanpaolo sono gratuiti).

*Versamento sul conto corrente postale n. 96240338, intestato a CEI - PRESTITO DELLA SPERANZA, Circonvallazione Aurelia n. 50, 00165 Roma - CAUSALE: CEI - COLLETTA PRESTITO DELLA SPERANZA
(I versamenti effettuati presto tutti gli uffici postali sono gratuiti).

sabato 23 maggio 2009

23 maggio 2009. In ricordo di Giovanni Falcone.

Oggi è il 17° anniversario della strage di Capaci.
Ricordando Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinari, Rocco Di Cillo e Vito Schifani, vi propongo due riflessioni.

Una è della sorella del magistrato ucciso, Maria Falcone.
"Per sconfiggere “Cosa Nostra”, diceva Giovanni Falcone, bisogna
agire seguendo tre direttive:
La prima e sicuramente la più importante, è la repressione.
Tale azione portata avanti dalla magistratura e dalle forze
dell’ordine deve essere costante, forte e supportata soprattutto
da una legislazione adeguata che pur garantendo le libertà
fondamentali dell’individuo permetta ai magistrati di svolgere al
meglio la funzione investigativa.
La seconda fondamentale nel lungo periodo deve essere
l’educazione alla legalità delle nuove generazioni, al fi ne di
contrastare quelli che sono i disvalori della mafi osità. Riuscire a
sconfi ggere l’omertà e l’indifferenza signifi ca anche togliere alla
mafi a la possibilità di affermare il proprio dominio sul territorio.
La terza e sicuramente non meno importante consiste nel
creare uno sviluppo economico non inquinato dalle pressioni
della criminalità che ubbidisca soltanto alle leggi di mercato
.
Appunto per questo, la Fondazione Giovanni e Francesca Falcone
ha voluto fare, quest’anno, una rifl essione più approfondita
sui problemi che spesso un’impresa che agisce nel meridione
d’Italia deve affrontare discutendo principalmente sulle possibili
soluzioni istituzionali e sui comportamenti individuali da
adottare..." (Maria Falcone, Presidente della Fondazione Giovanni e Francesca Falcone LEGALITÀ, IMPRESA E SVILUPPO).


L'altra è il messaggio di S.E. Mons. Michele Pennisi, vescovo di Piazza Armerina, rivolto agli studenti che sono arrivati al porto di Palermo oggi sabato 23 maggio con la “Nave della Legalità”.
"Ben arrivati e benvenuti in Sicilia, terra da sempre accogliente ed ospitale!
In questa giornata 17 anni fa Giovanni Falcone assieme, a Francesca Morvillo e agli agenti della sua scorta ci lasciava, vittima di un vile attentato mafioso.
Oggi la vostra presenza così numerosa testimonia che a perdere non fu la giustizia ma la mafia.
Falcone come Borsellino e tanti altri ci hanno testimoniato cosa significa vivere per la legalità e la giustizia, compiendo il proprio dovere orientati al bene comune.
La testimonianza di Giovanni Falcone è stata quella dell’uomo di speranza che attraverso il proprio impegno quotidiano ha dimostrato che
è possibile lottare e sconfiggere la mafia , che è un fenomeno umano e non una fato inevitabile.
La «legalità», ossia il rispetto e la pratica delle giuste leggi, costituisce una condizione fondamentale perché vi siano libertà, giustizia e pace tra gli uomini. La promozione della legalità ispirata da alti valori morali, a tutela dei fondamentali diritti di ogni persona, implica il contrastare fenomeni devianti come la mafia e le sue conseguenze negative: il pizzo, l’usura, lo spaccio della droga, i guadagni illeciti.
La lotta alle mafie (intendendo oltre che “cosa nostra” anche la “camorra”, “l’ ndrangheta” , la “sacra corona unita”) passa attraverso un rinnovato impegno educativo che porti ad un cambiamento della mentalità .
Per contrastare questi fenomeni criminali è necessaria una mobilitazione delle coscienze che, insieme ad un’efficace azione istituzionale e ad un ordinato sviluppo economico, può ridurre e sconfiggere il fenomeno criminoso.
Il senso della legalità non è un valore che si improvvisa. Esso esige un lungo e costante processo educativo. La sua affermazione e la sua crescita sono affidati alla collaborazione di tutti, ma in modo particolare alla famiglia e alla scuola e sopratutto a voi, cari giovani!Per rilanciare un impegno positivo per la vita è importante a dare risposte convincenti alle domande fondamentali sul senso della vostra esistenza che vi portate in cuore per costruire una società più giusta e più fraterna aperta alla speranza.
La speranza è certezza della meta, è fede nel futuro. La fiducia in uno scopo positivo della vita è proprio la caratteristica dei giovani. Senza uno scopo si è già vecchi. Ma il futuro si prepara con una grande e convinta adesione alla concretezza del presente.

Paolo Borsellino rivolto ai giovani scrisse “quando voi sarete adulti avrete più forza di reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta”.
La comunità cristiana vi vuole essere vicina per infondervi coraggio.
L'attuale sensibilità che la Chiesa mostra per promuovere la legalità si esprime in una serie di iniziative concrete volte a creare un costume e una mentalità alternativi a quella della subcultura in cui alligna la mafia.
Per la maturazione di questa sensibilità è stato soprattutto importante l'intervento di papa Giovanni Paolo II ad Agrigento il 9 maggio 1993: “Dio ha detto: "Non uccidere". Nessun uomo, nessuna associazione umana, nessuna mafia può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio. Questo popolo siciliano è un popolo che ama la vita, che dà la vita. Non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, di una civiltà della morte. Qui ci vuole la. civiltà della vita. Nel nome Cristo, crocifisso e risorto, di Cristo che è Via, verità e Vita, mi rivolgo ai responsabili: convertitevi, un giorno arriverà il giudizio di Dio".
Si tratta di un appello chiaramente evangelico. E' significativo che il Papa si rivolga non al fenomeno, la mafia, ma a gli uomini che producono tale fenomeno e lo faccia in nome di Dio e li invita a convertirsi cioè a cambiare vita e a riparare il male fatto.
La coscienza di una radicale incompatibilità tra mafia e vita cristiana è stato suggellato qui a Palermo dalla splendida testimonianza del martirio di don Pino Puglisi, ucciso solo perché fedele al suo ministero e perché attraverso la sua opera educativa sottraeva manovalanza a “cosa nostra”. La memoria di questo martirio è impegnativa per la Chiesa siciliana tutta.
Urge, oggi, formare una nuova mentalità in grado di creare una reale cultura per la legalità . La vostra presenza ne è un segno evidente.
L'educazione alla legalità va coniugata con l'educazione alla socialità e ad una cittadinanza responsabile, nell'ambito di una educazione globale alla pace.
Iniziamo quindi a vivere e costruire la legalità realizziamo una legalità reale, non fatta di slogan ma di nostre azioni concrete, passiamo dall’idea al fatto.
Non abbiamo bisogno di eroi ma di persone per le quali , come disse Giovanni Paolo II nel 1982 a proposito di San Benedetto, “il quotidiano diventi eroico, e l’eroico diventi quotidiano”.
A volte i giovani possono insegnare agli adulti (come è avvenuto con i giovani di Addio Pizzo qui a Palermo) e possono portare segni di speranza e voi lo dovete dimostrare ogni giorno iniziando dall’ambiente scolastico e nella vita quotidiana.