martedì 11 ottobre 2011

11 Ottobre 1962: Viva il Concilio Vaticano II

Perchè 'Viva il Concilio'

'Viva il Concilio' è anzitutto espressione di ringraziamento, poiché lungo i secoli della sua storia alla Chiesa non è mai venuta meno l’assistenza dello Spirito Santo. Nel caso del concilio Vaticano II, ancora una volta, lo Spirito di Dio non ha lesinato i suoi doni, versandoci in grembo «una misura buona, pigiata, scossa e traboccante» (Lc 6,38b). Deo gratias.

'Viva il Concilio', oltre ad essere una benedizione, costituisce una pro­messa: solo a condizione di rinnovare la fedeltà e la verità di quell’evento spi­rituale sarà possibile per la Chiesa cattolica disporre dei doni ricevuti e tenerne viva la memoria. In modo tenace Paolo VI ha richiamato il dovere ecclesiale della “fedeltà al Concilio”, poiché trattandosi di un evento che chiama in causa la responsabilità apostolica, prima «dobbiamo comprenderlo» poi «dobbiamo seguirlo».

'Viva il Concilio' è un compito che si fonda sulla memoria, impegna il presente e apre alla profezia. Occorre «ricordare che il Concilio scaturì dal grande cuore del papa Giovanni XXIII […] Noi tutti siamo davvero debitori di questo straordinario evento ecclesiale» (Benedetto XVI). Per questo, la lezione dell’ultimo Concilio dev’essere accolta come «la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre» (Giovanni Paolo II).

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mercoledì 31 agosto 2011

La GMG 2011 MADRID.


Che cosa resta nel cuore e nella memoria dei tanti ragazzi che hanno partecipato alla Giornata Mondiale della Gioventù?
A dieci giorni dalla conclusione dello straordinario evento ospitato a Madrid, forse è ancora presto per riuscire a cogliere nella sua totalità l’incidenza che l’incontro con i giovani di tutto il Mondo insieme al Papa ha avuto nella storia di coloro che l’hanno vissuto.

Ora si apre la fase più delicata e nello stesso tempo promettente: quella della sintesi, nella quale l’emozione deve lasciar spazio alla rielaborazione. Solo così l’esperienza si trasformerà in “vissuto”, facendo della Gmg un tassello prezioso del patrimonio spirituale e umano di ciascuno.
Sì, per non perdere il valore del cammino fatto sinora è necessario darsi un tempo di sosta, così da ricomporre e dare senso definitivo alle intuizioni nate nei giorni spagnoli. È la sosta di chi sceglie un tempo di silenzio per non perdere il gusto della preghiera, ma anche quella che permette una verifica volta a discernere cosa - e Chi - conta di più nella propria esistenza. È una sosta, inoltre, che chiede agli adulti e agli educatori di farsi fedeli accompagnatori, per aiutare i ragazzi a compiere quel percorso di rielaborazione che loro soli possono fare, ma non da soli.



I giovani, dal canto loro, nei giorni di Madrid sono stati sorprendenti, regalando al mondo adulto che li guardava una magistrale “lezione”.

Innanzitutto per l’essersi mostrati profondamente discepoli del Signore: per il desiderio di ricerca che li ha messi in viaggio, in cammino nell’ascolto del Vangelo, vivendo fraternamente e con serietà gli spazi della preghiera e della meditazione nel significativo abbraccio di tutta la Chiesa. “Fondati e radicati in Cristo, saldi nella fede”, il popolo della Gmg si è fatto interprete di un cristianesimo gioioso, bello e umanizzante.
Una seconda consegna che arriva dai ragazzi è quella della responsabilità: del personale cammino di fede, ma anche della propria esistenza. L’attenzione alle catechesi, il confronto che ne è scaturito, il sopportare senza troppo lamentarsi l’inevitabile fatica pur di non perdersi gli appuntamenti di condivisione, non sono forse segni di un autentico desiderio di seguire i passi di Gesù e di prendere sul serio la propria crescita in umanità?
Questo tempo di sosta che ci separa dalla vicina ripresa dei cammini formativi può rappresentare davvero una grande opportunità, anche per gli adulti: l’essere fedeli e autorevoli compagni di viaggio dei giovani, avendo ascoltato e imparato quella “lezione” di serietà e amore che a Madrid i ragazzi della Gmg sono stati capaci di offrire.

martedì 31 maggio 2011

Il 12 giugno andiamo a votare.

Un bene essenziale, un dono che serve

Referendum Acqua. La Presidenza nazionale dell’Azione Cattolica invita ad andare a votare il prossimo 12 giugno. L’acqua è un bene essenziale, ma per il credente è un dono che serve.

Per questo motivo, la Presidenza nazionale Ac ritiene che:

  • sia doveroso partecipare al referendum abrogativo del 12 giugno prossimo ed esprimere il proprio voto in libertà di coscienza;
  • sia necessario informarsi in modo completo e senza lasciarsi irretire dalle diverse strumentalizzazioni politiche. A questo proposito, l’associazione, attraverso il proprio sito internet e le proprie riviste, assicurerà pareri e materiali informativi in cui saranno rispettate le diverse posizioni.

La Presidenza nazionale Ac aggiunge inoltre un proprio parere, auspicando possa essere un utile contributo per un dibattito serio e sereno. La Presidenza è nel complesso scettica verso misure legislative che mirino a introdurre la logica del profitto nella gestione di un dono che ha a che fare con l’esistenza delle persone. Appare necessario che i legislatori trovino forme più equilibrate della legge Ronchi per tutelare l’assoluta fruibilità dell’acqua per ogni persona, specialmente le più bisognose. E’ altresì importante che il ruolo degli enti locali, quali garanti della giusta ed equa distribuzione dei beni, non venga sacrificato in nome di un’iniziativa privata della quale non si riescono a prevedere con certezza i limiti, i contorni e i risultati. La Presidenza riconosce l’essenziale contributo dell’iniziativa privata per la crescita del Paese, ma ritiene che quando si parla di acqua non sono ammesse - nell’interesse di tutti, ma soprattutto dei cittadini - fughe in avanti, né tantomeno scelte legislative assunte senza il dovuto e approfondito confronto con i soggetti della società civile più attenti ai bisogni degli ultimi.
Il referendum-day propone altri due quesiti di estrema delicatezza e complessità. In breve e semplificando: un pronunciamento sul ritorno di centrali nucleari sul territorio italiano; un pronunciamento sul cosiddetto “legittimo impedimento”, legge che permette alle principali cariche pubbliche di non presenziare ad udienze giudiziarie se coincidenti con impegni politici.
Anche per questi due quesiti la presidenza nazionale Ac assicura un’ampia copertura informativa e auspica un’ampia, consapevole e libera partecipazione al voto.
Nel merito, la presidenza nazionale, come contributo al dibattito, ritiene di poter condividere con l’opinione pubblica due principi:

  • per quanto riguarda il nucleare, la necessità di sondare ogni parere, incentivare la ricerca e mettere in campo qualsiasi approfondimento prima di assumere scelte che potrebbero arrecare rischi alla salute dei cittadini. La salute della persona, come l’indispensabilità dell’acqua, sono temi per i quali è richiesto sempre e in ogni caso il massimo del confronto, evitando derive ideologiche;
  • per quanto riguarda il “legittimo impedimento”, la Presidenza nazionale ritiene che sia da salvaguardare, in un periodo così complesso dal punto di vista sociale, etico e morale, l’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge.

Si ribadisce che lo sforzo dell’associazione, su tutti i quesiti referendari, sarà quello di motivare la partecipazione al voto e informare/formare con la massima obiettività. Ai soci dell’associazione, e a tutti i cittadini, chiediamo di presentarsi al voto con senso di responsabilità, concreti strumenti di valutazione e, soprattutto, libertà di coscienza.

mercoledì 25 maggio 2011

Franco Miano confermato Presidente dell’AC.

Franco Miano è stato confermato Presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana per il triennio 2011-14. La nomina è avvenuta oggi pomeriggio in seno al Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana che ha scelto all’interno della terna di nomi che il Consiglio nazionale dell’Azione Cattolica Italiana aveva indicato dopo la conclusione della XIV Assemblea nazionale dell’Associazione.

Ecco la prima dichiarazione del Presidente Miano.

Nell’apprendere la notizia della sua riconferma,il Presidente Franco Miano ha dichiarato:

«Nell’esprimere la mia profonda gratitudine al Consiglio nazionale del’AC e ai nostri vescovi, in primo luogo al presidente card. Angelo Bagnasco e ai membri del Consiglio episcopale permanente della Cei, per la confermata fiducia riposta nella mia persona, affidandomi nuovamente un servizio che spero di onorare con l’aiuto del Signore, rinnovo il mio sì alla lunga storia dell’Associazione e alla sua viva tradizione.

Il mio primo pensiero in questo momento va a tutti i soci e ai sacerdoti assistenti della nostra Azione Cattolica impegnati nelle migliaia in parrocchie della nostra amata Italia. A loro rivolgo un grande e forte abbraccio dicendo grazie per le energie che spendono nel rendere la nostra Associazione ancora più bella e più pronta a muovere i suoi passi, insieme a tutta la Chiesa, ai nostri carissimi pastori, al fine dell’annuncio del Vangelo all’uomo di oggi.

In questo cammino ci sia di sostegno l’insegnamento di Benedetto XVI. È ancora vivo nel cuore di tutti il ricordo bellissimo dell’Incontro nazionale dello scorso 30 Ottobre in Piazza San Pietro con decine di migliaia di ragazzi e giovanissimi.

L’Azione Cattolica desidera essere sempre più disponibile nel suo servizio alla Chiesa, rispondendo all’invito rivoltoci quel giorno dallo stesso Santo Padre: “Abbiate il coraggio, vorrei dire l’audacia di non lasciare nessun ambiente privo di Gesù, della sua tenerezza che fate sperimentare a tutti, anche ai più bisognosi e abbandonati, con la vostra missione di educatori”. Indicandoci esempi di amore genuino nei tanti beati e santi di Azione Cattolica: da Piergiorgio Frassati ad Alberto Marvelli, da Pierina Morosini ad Antonia Mesina. Cosi come altre grandi figure di uomini e donne, da Giuseppe Toniolo, prossimo alla beatificazione, ad Armida Barelli.

L’Azione Cattolica in questo tempo si pone ancora una volta al servizio dell’uomo per onorare la dignità personale con i suoi valori irrinunciabili, a cominciare dalla vita e dalla pace, dalla famiglia e dall’educazione, per camminare accanto a tutti e a ciascuno, a tessere insieme una trama viva di relazioni fraterne. Ciò significa spendersi in favore del bene comune, attraverso l’educazione alla responsabilità personale, all’impegno pubblico, al senso delle istituzioni, alla partecipazione, alla democrazia.

Mi piace citare in questo giorno, come già tre anni fa, la frase pronunciata nel 1964 da Vittorio Bachelet quando venne nominato Presidente dell’Associazione: “L’Azione Cattolica vorrebbe aiutare gli italiani ad amare Dio e ad amare gli uomini. Essa vorrebbe essere un semplice strumento attraverso il quale i cattolici italiani siano aiutati a vivere integralmente e responsabilmente la vita della Chiesa; e insieme a vivere con pieno rispettoso impegno cristiano la vita della comunità temporale e della convivenza civile”».

sabato 23 aprile 2011

Buona Pasqua di Resurrezione.


La Pasqua apre per tutti l’orizzonte della vita eterna: che questa Pasqua sia Pasqua di speranza per tutti. Veramente per tutti!

Papa Benedetto XVI in uno dei suoi Messaggi Urbi et Orbi ha detto:
Gesù Cristo ha liberato l’uomo dalla schiavitù radicale, quella del peccato, e gli ha aperto la strada verso la vera Terra promessa, il Regno di Dio, Regno universale di giustizia, di amore e di pace. Questo “esodo” avviene prima di tutto dentro l’uomo stesso, e consiste in una nuova nascita nello Spirito Santo, effetto del Battesimo che Cristo ci ha donato proprio nel mistero pasquale. L’uomo vecchio lascia il posto all’uomo nuovo; la vita di prima è alle spalle, si può camminare in una vita nuova (cfr Rm 6,4). Ma l’“esodo” spirituale è principio di una liberazione integrale, capace di rinnovare ogni dimensione umana, personale e sociale.
Sì, fratelli, la Pasqua è la vera salvezza dell’umanità! Se Cristo – l’Agnello di Dio – non avesse versato il suo Sangue per noi, non avremmo alcuna speranza, il destino nostro e del mondo intero sarebbe inevitabilmente la morte. Ma la Pasqua ha invertito la tendenza: la Risurrezione di Cristo è una nuova creazione, come un innesto che può rigenerare tutta la pianta. E’ un avvenimento che ha modificato l’orientamento profondo della storia, sbilanciandola una volta per tutte dalla parte del bene, della vita, del perdono. Siamo liberi, siamo salvi! Ecco perché dall’intimo del cuore esultiamo: “Cantiamo al Signore: è veramente glorioso!”.

Pace e Gioia a tutti Voi...carissimi amici: Buona Pasqua di Resurrezione.

giovedì 14 aprile 2011

L'Avvenire boccia la legge del c.d. "processo breve".



Può essere utile al di là delle partigianerie, leggere questo articolo pubblicato su Avvenire di oggi.

Ma non chiamatelo «processo breve»
Alzi la mano chi desidera un processo lungo, estenuante e spesso inconcludente come gran parte di quelli che si celebrano (o si trascinano) per anni nei tribunali italiani. Una legge sul «processo breve», ovvero un provvedimento che riuscisse davvero a garantire l’amministrazione della giustizia in tempi certi e ragionevoli, sarebbe perciò l’uovo di Colombo, oltre che la medicina più indicata per curare il male di cui soffre questo settore. Già, perché se si riuscisse a guardare l’Italia senza le lenti deformanti della partigianeria (ormai vero sport nazionale, al pari del calcio), si vedrebbe un Paese stritolato dalla "questione giudiziaria".

Con questa definizione non vanno intese, però, l’urgenza dell’attuale presidente del Consiglio di risolvere i suoi guai con taluni magistrati di Milano e la costanza (non priva di forzature procedurali, né, talvolta, perfino di venature d’astio) con la quale questi ultimi lo incalzano ormai da quasi vent’anni, bensì proprio la lentezza dei processi civili e penali. La stessa che ci procura continue condanne a Strasburgo per «irragionevole durata» delle cause. E che ci vede dietro a diversi Stati in via di sviluppo nella classifica mondiale dei luoghi dove occorre più tempo per recuperare un credito: 1.210 giorni, più di tre anni.

Ebbene, ieri, in una Camera dei deputati in tumulto, ha compiuto il giro di boa un disegno di legge d’iniziativa parlamentare che contiene proprio «misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell’articolo 111 della Costituzione e dell’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali». A che cosa servirà, una volta che avrà incassato anche il voto favorevole del Senato ed entrerà in vigore, presumibilmente subito dopo Pasqua? La risposta degli oppositori è: a evitare a Silvio Berlusconi una condanna in primo grado nel processo Mills (comunque destinato a finire nel nulla prima della sentenza definitiva), accorciando di qualche mese i termini della prescrizione grazie a una norma infilata nel testo dal relatore Paniz del Pdl, dopo che la maggioranza aveva accettato, come segnale di distensione e apertura al dialogo sulla più ampia riforma costituzionale della giustizia proposta dal ministro Alfano, di cancellare la norma transitoria che consentiva l’applicazione della legge ai processi in corso, inclusi quelli che vedono imputato il premier.

La versione della maggioranza e del governo è, invece, che il provvedimento è necessario in quanto mette al riparo tutti i cittadini dalla eccessiva lunghezza dei processi, dichiarandone l’estinzione qualora non si concludano in tre anni per il primo grado, due anni per l’appello e diciotto mesi per l’eventuale sentenza di legittimità, perché una giustizia che arriva più tardi è comunque una giustizia negata.

Entrambe le risposte sono vere. Del resto, l’una non esclude l’altra. Sia la domanda, sia le risposte, tuttavia, non sembrano centrate. Sarebbe meglio chiedersi, infatti, a che cosa non servirà questa legge, per convenzione e sintesi giornalistica definita «sul processo breve». E la risposta è che, purtroppo, non servirà ad abbreviare i tempi dei processi. Come tutti i testi analoghi da cui è stata preceduta (approvati, come la legge Pinto del 2001 o la "ex-Cirielli" del 2005, oppure rimasti allo stadio di proposta, come quella del 2006 firmata anche dall’attuale capogruppo del Pd al Senato Anna Finocchiaro, allora nell’Ulivo, e ancor prima, nel 2004, da cinque suoi compagni di partito nei Ds, tra i quali l’attuale consigliere "laico" del Csm Guido Calvi) potrà soltanto prendere atto, di volta in volta, di un fallimento: quello di uno Stato che non riesce a garantire una sentenza definitiva in tempi ragionevoli. Ma questa è la radiografia del male, non la cura.
Danilo Paolini

mercoledì 6 aprile 2011

I Vescovi di Sicilia e l'emergenza migrazioni.

La Sessione primaverile della Conferenza Episcopale Siciliana si è svolta a Palermo il 4 e il 5 aprile scorsi, nella sede di corso Calatafimi.

1.Una particolare attenzione è stata riservata alla complessa questione dell’emergenza migrazioni, in seguito ai moti popolari che negli ultimi mesi hanno interessato soprattutto i Paesi del Nord Africa con pesanti ripercussioni sulla nostra Isola. I Vescovi si sentono interpellati a pronunciare una parola chiara, convinta e responsabile sul momento presente, ben sapendo quanto le questioni in gioco siano complesse, difficili ed impegnative, con un intreccio fra emergenze concrete, obiettivi politici e interessi economici.
Essi si sono soffermati sui problemi legati all’intervento militare in Libia, all’emergenza dei profughi e dei rifugiati, al dovere dell’accoglienza.

In sintonia con l’appello del Santo Padre Benedetto XVI che ha ribadito “l’esigenza di ricorrere ad ogni mezzo di cui dispone l’azione diplomatica e di sostenere anche il più debole segnale di apertura e di volontà di riconciliazione” per “l’immediato avvio di un dialogo, che sospenda l’uso delle armi”, i Vescovi fanno eco all’auspicio espresso dal Card. Bagnasco e fatto
proprio dal Consiglio Permanente della CEI affinché s’individui “una «via africana» verso il futuro”, che assicuri la pacifica convivenza tra i popoli.

Le soluzioni adottate - a Lampedusa, come a Mineo, Trapani, Caltanissetta… - di fronte all’elevato numero di persone coinvolte, “ghettizzate” in grandi centri di accoglienza o tendopoli, non sono rispettose della dignità umana delle persone immigrate e non sono idonee ad una loro integrazione con il territorio, oltre che a risultare problematiche per le popolazioni locali.
Non considerando la situazione drammatica presente in quei Paesi, si rischia di portare all’esasperazione gli animi degli immigrati al fine di ottenere il loro rimpatrio e dissuadere dal partire chi è rimasto nei Paesi di origine.
Gli interventi impostati su logiche di ordine pubblico non valorizzano adeguatamente le risorse del volontariato e delle istituzioni non profit e lo spirito di solidarietà delle nostre popolazioni.
Davanti al dramma degli sfollati, dei profughi e dei richiedenti asilo, i Vescovi riaffermano il valore imprescindibile della persona umana, l’impegno della Chiesa ad educare ad una cultura dell’accoglienza e ribadiscono la propria disponibilità a collaborare con gli Organismi responsabili ad alleviare i disagi degli immigrati attraverso soprattutto le Caritas diocesane, che sono pronte a mettere a disposizione le proprie risorse umane e materiali.

I Vescovi siciliani chiedono con forza che tutte le Regioni italiane si facciano carico con generosità di questa emergenza e che le Chiese europee intervengano perché tutti i Paesi del continente siano presenti in modo concreto, immediato e congruo. Essi ribadiscono la necessità che l’Europa si faccia carico di queste emergenze e non chiuda le porte al grido dei popoli in difficoltà, ma si impegni a realizzare concretamente autentiche politiche di cooperazione che potranno assicurare a tutti sviluppo e pace duratura.

Al Governo e alle Istituzioni politiche d’Italia chiedono, secondo le indicazioni della Caritas e della Fondazione Migrantes, di applicare le misure di protezione temporanea a tutti coloro che sono sbarcati in questi mesi e di promuovere modalità di inserimento lavorativo più flessibili che consentano un’accoglienza che vada al di là della prima risposta.

I Vescovi, dopo aver ascoltato la relazione dell’Arcivescovo di Agrigento, mons. Francesco Montenegro, esprimono sincera e cordiale ammirazione per la testimonianza di grande generosità e il senso di accoglienza che da sempre contraddistingue la comunità lampedusana che, in una situazione difficile, ha continuato ad aprire le porte agli immigrati richiedenti aiuto.
I pastori delle Chiese di Sicilia chiedono altresì che il Governo italiano tenga conto dei sacrifici compiuti da questa popolazione e mantenga le promesse fatte.

I Vescovi, rilanciando gli orientamenti della Settimana Sociale dei cattolici, chiedono la rivisitazione della disciplina sulla cittadinanza, della normativa sulla ricomposizione familiare e una riforma generale della legge sull’immigrazione. Ricordano altresì che il fenomeno migratorio è ormai stabile e strutturale, e pertanto richiedono da parte dello Stato e della Chiesa una costante e rinnovata attenzione che non può fermarsi alla gestione dell’emergenza attuale..."
Dal comunicato stampa

giovedì 31 marzo 2011

30.03.2011. Padre Pepe: Dio, Padre di ogni consolazione, ha chiamato a sé l’amato "Padre Sariddu".

Ho appena appreso la notizia della dipartita di Padre Rosario Pepe di cui tutti i menenini serbiamo ricordi indelebili.Un Grande menino che ha segnato la storia del nostro paese, un "profeta" che ha saputo "educare il suo popolo" e "ha dato la vita" per la sua gente. Un Don Primo Mazzolari in terra di Sicilia.
Sono fiero ed orgoglioso di averlo conosciuto,un validissimo esempio umano e religioso,che porterò per sempre nel mio cuore.

mercoledì 16 marzo 2011

Costituzione e unità d'Italia.

Per una riflessione d’insieme sulla ricorrenza dei 150 anni di unificazione, mi è sembrato significativo e profondo l'intervento di Giovanni Maria Flick (presidente emerito della Corte costituzionale, ex ministro della giustizia nel govenro prodi, ecc), che mette in correlazione Unità e Carta costituzionale, ripercorrendo le fasi e i cambiamenti del lungo periodo e proponendo piste di sviluppo per il futuro.

Costituzione e unità d'Italia

La Carta vede al centro del sistema non lo Stato ma la persona

Il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele II, re di Sardegna, diventava - per grazia divina e per volontà della nazione - re d'Italia, dando inizio così al lungo percorso dell'Unità d'Italia. Da allora sono passati centocinquanta anni e ci stiamo preparando a celebrarne l'anniversario: quale è il modo migliore per ricordare adeguatamente un evento tanto importante per la storia del nostro Paese?

Innanzitutto, credo che l'anniversario debba essere celebrato cercando di evitare la retorica di solito, purtroppo, consueta in queste occasioni; ma cercando anche di evitare l'approssimazione o l'estremismo secondo cui quello che è capitato in questi centocinquanta anni è tutto bello e positivo (ignorandone gli errori e le ambiguità) o, al contrario, è tutto sbagliato e da rifiutare (ignorandone i successi e le conquiste). Riflettendo con spirito critico sulla situazione attuale, qualcuno si domanda addirittura se abbia ancora senso parlare di Unità d'Italia, e se sia ancora possibile e utile guardare al passato, al fine di trarne qualche insegnamento per il presente e per il futuro, secondo la scritta che sta sull'ingresso del campo di concentramento di Dachau: "Chi ignora il passato è condannato a ripeterlo".

Per rispondere a questi interrogativi, vale la pena di dare uno sguardo retrospettivo ai centocinquanta anni trascorsi: una parabola che ha come momento centrale quella Costituzione che oggi è alla base del nostro modo di vivere insieme. Essa è stata preceduta da una unificazione che si è snodata attraverso quattro guerre di indipendenza; tre l'avevano costruita, mentre la quarta (la guerra del 1915-1918) l'aveva consolidata, completando il primo Risorgimento. Ma in quella stessa parabola si collocano anche il fascismo, la seconda guerra mondiale, la sconfitta, la perdita dell'unità nazionale, quando il Paese tornò a dividersi tra il Regno del Sud e la Repubblica Sociale al Nord. Infine, nella parabola si collocano la Resistenza, la guerra civile, il secondo Risorgimento, per giungere alla scelta repubblicana e alla Costituzione, che rappresenta - anche cronologicamente - il momento centrale e attuale della nostra esperienza e della nostra vita unitaria. Soprattutto alla Costituzione - alla sua origine, alla sua scrittura, alla sua attuazione (certamente incompleta) - bisogna quindi volgere lo sguardo, per celebrare questi centocinquanta anni; e vorrei provare a farlo con le parole - quanto mai attuali - di due miei autorevolissimi predecessori.

Il primo di essi, Enrico De Nicola, era un liberale monarchico, che divenne capo provvisorio dello Stato e poi primo presidente della Corte Costituzionale. Alla prima udienza di quest'ultima, nel 1956, disse: "La Costituzione è poco conosciuta anche da chi ne parla con saccenza. Deve essere divulgata senza indugio prima che sia troppo tardi". Il secondo, Leopoldo Elia, anch'egli presidente della Corte, nel 2008, in occasione del sessantesimo anniversario della Costituzione, ricordava che "essa è profondamente attuale, ha saputo comprendere fenomeni nuovi, non previsti quando venne scritta". Si riferiva a temi come l'ambiente, la privacy, il mercato e la concorrenza, la dimensione europea; temi che la Costituzione ha certamente saputo cogliere, consentendone lo sviluppo, l'attuazione e la tutela, pur senza averli previsti esplicitamente. A queste due affermazioni - significative, in tempi nei quali si dibatte sulla Costituzione domandandosi se sia ormai superata e se, quindi, vada cambiata - vorrei aggiungerne una terza. Oggi, la Costituzione non solo è conosciuta poco, anche dagli addetti ai lavori; non solo è attuale, a sessant'anni dalla sua nascita; ma è anche la chiave per comprendere il significato dell'unità d'Italia e la sua continuità su basi nuove e attuali, attraverso la prosecuzione e l'evoluzione del patriottismo, nel passaggio dal primo al secondo Risorgimento.

È una costruzione, quella proposta dalla Costituzione, che vede al centro del nostro sistema non più lo Stato come durante il fascismo, ma la persona. Essa si snoda nella definizione di una serie di rapporti civili, sociali, economici e politici, in cui la Costituzione sviluppa i diritti e i doveri che sono tra loro strettamente legati. Credo che i valori, contenuti nei principi fondamentali con cui si apre la nostra Costituzione, possano essere efficacemente riassunti nel principio di pari dignità sociale e nel principio di laicità.

Il primo è un valore di contenuto, di cui parla l'articolo 3 della Costituzione, sottolineando il rapporto tra l'eguaglianza formale di tutti di fronte alla legge e la eguaglianza sostanziale, cui è necessario arrivare eliminando le disparità di fatto che impediscono la piena partecipazione di tutti (non solo i cittadini) alla vita pubblica e sociale. La pari dignità sociale rappresenta la chiave di collegamento tra l'eguaglianza e la diversità (il pluralismo), che è un altro dei valori fondamentali della nostra Costituzione, attraverso la solidarietà.

Accanto al valore della dignità, di contenuto, si colloca il valore della laicità; un valore di metodo (il metodo democratico), non menzionato esplicitamente nella Costituzione, ma che la Corte Costituzionale ha desunto da essa con una sentenza del 1989, dopo la modifica del Concordato con la Chiesa Cattolica nel 1984. La laicità va intesa non soltanto con riferimento al rapporto tra Stato e Chiesa e alla dimensione religiosa; ma altresì con riferimento al rispetto reciproco - nella consapevolezza dei propri valori e allo stesso tempo nel rispetto dei valori dell'altro - e al dialogo, in antitesi alla sopraffazione. È, insomma, quello che Bobbio definiva "accettare l'altro per quello che è". È un valore che nasce dall'eguaglianza e dalla libertà religiosa, dal rifiuto del laicismo, ma anche da quello del radicalismo, del fanatismo e dell'intolleranza; è la prospettiva del dialogo nel rispetto reciproco.

Nel primo Risorgimento la nazione si è fatta Stato attraverso il riferimento a una serie di valori come la storia, la cultura, la lingua, il territorio; anche se, in un secondo momento, questo senso di appartenenza alla nazione è stato turbato dal centralismo, dalla burocrazia, da quella che venne definita la "piemontesizzazione" del Sud, dalle carenze dello Stato, fino ad arrivare al rischio dello scollamento tra nazione e Stato. Nel secondo Risorgimento, il tema della patria si è espresso attraverso il riferimento a valori comuni e condivisi, di appartenenza alla comunità: un patriottismo costituzionale che è fondato su valori nuovi, più attuali di quelli su cui si è giocato il primo patriottismo, capaci perciò di gestire la nostra convivenza nel futuro e di fronte ai problemi della globalizzazione.

I valori del primo Risorgimento costituiscono un patrimonio elitario - affidato soprattutto agli intellettuali, attraverso la cultura, la storia, le tradizioni, la lingua - al quale rimase per lo più estraneo o indifferente il popolo, salvo qualche esperienza isolata: la partecipazione popolare alla Spedizione dei Mille, alle Cinque Giornate di Milano, ai moti insurrezionali. Il secondo Risorgimento ci propone, invece, un'altra serie di valori: l'eguaglianza formale e sostanziale; la solidarietà; la democrazia; la sovranità popolare; il pluralismo; il pacifismo; l'unità e l'indivisibilità dell'Italia e nello stesso tempo l'autonomia.

La Costituzione nasce con il secondo Risorgimento, dopo la dittatura, la sconfitta e la divisione creatasi nuovamente nel 1943 in Italia tra il Regno del Sud, in cui continuava a esistere lo Stato grazie alla presenza alleata, e la Repubblica sociale al Nord; quella che venne definita la morte della patria, ma che in realtà è stata all'origine della sua rinascita.

Uno dei fenomeni sui quali ritengo sia doveroso riflettere di più, per capire meglio la situazione attuale, è rappresentato dalla Resistenza: un fenomeno globale, caratterizzato dalla lotta armata partigiana; dalla fedeltà e dalla testimonianza dei militari (si pensi a coloro che morirono a Cefalonia e a coloro che rifiutarono di giurare nei campi di concentramento) e dalla partecipazione della popolazione civile. Non si possono certamente ignorare gli scontri, le violenze, i torti reciproci che hanno caratterizzato la Resistenza. Qualcuno dubita dell'utilità - se non della possibilità - di avere una memoria condivisa. Io credo che occorra almeno raggiungere la consapevolezza della pluralità e della contrapposizione fra le memorie, ferma restando la consapevolezza di quale doveva essere la parte "giusta" con cui schierarsi, in nome della libertà e contro la dittatura e la sopraffazione. Ma occorre altresì cercare di giungere non tanto alla condivisione, quanto piuttosto alla comprensione per chi ha sbagliato in buona fede.

Dopo la Resistenza, seguirono altri eventi determinanti. In primo luogo, vi fu la scelta del 2 giugno 1946, con il referendum e il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica; momenti caratterizzati da tensioni, da accuse di brogli e dal rinnovato contrasto tra il Nord repubblicano e il Sud monarchico, che fecero nuovamente temere (così De Gasperi) per l'unità morale e territoriale del Paese. Il referendum fu una forma di rispetto della volontà popolare, demandando al popolo la scelta tra Repubblica e Monarchia. Al referendum seguì l'Assemblea Costituente, che rappresentò la prima occasione di suffragio universale e di voto alle donne, e giunse a scrivere e ad approvare - con una larghissima maggioranza - la Costituzione in vigore dal 1? gennaio 1948: una costituzione frutto di un compromesso "alto" tra la componente liberale ed elitaria, la componente cattolica, la componente social-comunista.

Una Costituzione che pone al centro la persona, nel suo valore individuale e nella sua proiezione sociale; e che ebbe un duplice, importantissimo significato. Da un lato, rappresenta il rifiuto del passato, della dittatura, del fascismo e dei suoi valori di riferimento (il corporativismo, il bellicismo, l'autarchia, il razzismo); dall'altro lato, rappresenta il rinnovamento attraverso un patto per il futuro, in cui si sperava di raggiungere un nuovo clima che consentisse la convivenza del nostro popolo.

Dopo l'entrata in vigore della Costituzione, i partiti che avevano svolto un ruolo fondamentale nel collegare la società civile a uno Stato da rivitalizzare, hanno finito poi con l'occupare lo Stato e le istituzioni; al tempo stesso sono ritornati alla carica il centralismo e il burocraticismo, che erano già stati uno dei vizi del primo Stato unitario. La Costituzione, in parte non è stata attuata, in parte è stata attuata con molto ritardo, tanto che qualcuno ha parlato di Costituzione tradita. Quei difetti, quelle ambiguità, quei vizi che avevano segnato il primo Risorgimento, hanno segnato anche il secondo.

Giovanni Maria Flick

(L'Osservatore Romano, 14-15 marzo 2011)

domenica 6 marzo 2011

La Quaresima: In cammino verso la Pasqua.

Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la Quaresima 2011

Cari fratelli e sorelle,

la Quaresima, che ci conduce alla celebrazione della Santa Pasqua, è per la Chiesa un tempo liturgico assai prezioso e importante, in vista del quale sono lieto di rivolgere una parola specifica perché sia vissuto con il dovuto impegno. Mentre guarda all’incontro definitivo con il suo Sposo nella Pasqua eterna, la Comunità ecclesiale, assidua nella preghiera e nella carità operosa, intensifica il suo cammino di purificazione nello spirito, per attingere con maggiore abbondanza al Mistero della redenzione la vita nuova in Cristo Signore (cfr Prefazio I diQuaresima).

1. Questa stessa vita ci è già stata trasmessa nel giorno del nostro Battesimo, quando, “divenuti partecipi della morte e risurrezione del Cristo”, è iniziata per noi “l’avventura gioiosa ed esaltante del discepolo” (Omelia nella Festa del Battesimo del Signore, 10 gennaio 2010). San Paolo, nelle sue Lettere, insiste ripetutamente sulla singolare comunione con il Figlio di Dio realizzata in questo lavacro. Il fatto che nella maggioranza dei casi il Battesimo si riceva da bambini mette in evidenza che si tratta di un dono di Dio: nessuno merita la vita eterna con le proprie forze. La misericordia di Dio, che cancella il peccato e permette di vivere nella propria esistenza “gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2,5), viene comunicata all’uomo gratuitamente.
L’Apostolo delle genti, nella Lettera ai Filippesi, esprime il senso della trasformazione che si attua con la partecipazione alla morte e risurrezione di Cristo, indicandone la meta: che “io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti” (Fil 3,10-11). Il Battesimo, quindi, non è un rito del passato, ma l’incontro con Cristo che informa tutta l’esistenza del battezzato, gli dona la vita divina e lo chiama ad una conversione sincera, avviata e sostenuta dalla Grazia, che lo porti a raggiungere la statura adulta del Cristo.Un nesso particolare lega il Battesimo alla Quaresima come momento favorevole per sperimentare la Grazia che salva.

I Padri del Concilio Vaticano II hanno richiamato tutti i Pastori della Chiesa ad utilizzare “più abbondantemente gli elementi battesimali propri della liturgia quaresimale” (Cost. Sacrosanctum Concilium, 109). Da sempre, infatti, la Chiesa associa la Veglia Pasquale alla celebrazione del Battesimo: in questo Sacramento si realizza quel grande mistero per cui l’uomo muore al peccato, è fatto partecipe della vita nuova in Cristo Risorto e riceve lo stesso Spirito di Dio che ha risuscitato Gesù dai morti (cfr Rm 8,11). Questo dono gratuito deve essere sempre ravvivato in ciascuno di noi e la Quaresima ci offre un percorso analogo al catecumenato, che per i cristiani della Chiesa antica, come pure per i catecumeni d’oggi, è una scuola insostituibile di fede e di vita cristiana: davvero essi vivono il Battesimo come un atto decisivo per tutta la loro esistenza.

2. Per intraprendere seriamente il cammino verso la Pasqua e prepararci a celebrare la Risurrezione del Signore - la festa più gioiosa e solenne di tutto l’Anno liturgico - che cosa può esserci di più adatto che lasciarci condurre dalla Parola di Dio? Per questo la Chiesa, nei testi evangelici delle domeniche di Quaresima, ci guida ad un incontro particolarmente intenso con il Signore, facendoci ripercorrere le tappe del cammino dell’iniziazione cristiana: per i catecumeni, nella prospettiva di ricevere il Sacramento della rinascita, per chi è battezzato, in vista di nuovi e decisivi passi nella sequela di Cristo e nel dono più pieno a Lui.

La prima domenica dell’itinerario quaresimale evidenzia la nostra condizione dell’uomo su questa terra. Il combattimento vittorioso contro le tentazioni, che dà inizio alla missione di Gesù, è un invito a prendere consapevolezza della propria fragilità per accogliere la Grazia che libera dal peccato e infonde nuova forza in Cristo, via, verità e vita (cfr Ordo Initiationis Christianae Adultorum, n. 25). E’ un deciso richiamo a ricordare come la fede cristiana implichi, sull’esempio di Gesù e in unione con Lui, una lotta “contro i dominatori di questo mondo tenebroso” (Ef 6,12), nel quale il diavolo è all’opera e non si stanca, neppure oggi, di tentare l’uomo che vuole avvicinarsi al Signore: Cristo ne esce vittorioso, per aprire anche il nostro cuore alla speranza e guidarci a vincere le seduzioni del male.

Il Vangelo della Trasfigurazione del Signore pone davanti ai nostri occhi la gloria di Cristo, che anticipa la risurrezione e che annuncia la divinizzazione dell’uomo. La comunità cristiana prende coscienza di essere condotta, come gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, “in disparte, su un alto monte” (Mt 17,1), per accogliere nuovamente in Cristo, quali figli nel Figlio, il dono della Grazia di Dio: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo” (v. 5). E’ l’invito a prendere le distanze dal rumore del quotidiano per immergersi nella presenza di Dio: Egli vuole trasmetterci, ogni giorno, una Parola che penetra nelle profondità del nostro spirito, dove discerne il bene e il male (cfr Eb 4,12) e rafforza la volontà di seguire il Signore.

La domanda di Gesù alla Samaritana: “Dammi da bere” (Gv 4,7), che viene proposta nella liturgia della terza domenica, esprime la passione di Dio per ogni uomo e vuole suscitare nel nostro cuore il desiderio del dono dell’ “acqua che zampilla per la vita eterna” (v. 14): è il dono dello Spirito Santo, che fa dei cristiani “veri adoratori” in grado di pregare il Padre “in spirito e verità” (v. 23). Solo quest’acqua può estinguere la nostra sete di bene, di verità e di bellezza! Solo quest’acqua, donataci dal Figlio, irriga i deserti dell’anima inquieta e insoddisfatta, “finché non riposa in Dio”, secondo le celebri parole di sant’Agostino.
La “domenica del cieco nato” presenta Cristo come luce del mondo. Il Vangelo interpella ciascuno di noi: “Tu, credi nel Figlio dell’uomo?”. “Credo, Signore!” (Gv 9,35.38), afferma con gioia il cieco nato, facendosi voce di ogni credente. Il miracolo della guarigione è il segno che Cristo, insieme alla vista, vuole aprire il nostro sguardo interiore, perché la nostra fede diventi sempre più profonda e possiamo riconoscere in Lui l’unico nostro Salvatore. Egli illumina tutte le oscurità della vita e porta l’uomo a vivere da “figlio della luce”.

Quando, nella quinta domenica, ci viene proclamata la risurrezione di Lazzaro, siamo messi di fronte al mistero ultimo della nostra esistenza: “Io sono la risurrezione e la vita… Credi questo?” (Gv 11,25-26). Per la comunità cristiana è il momento di riporre con sincerità, insieme a Marta, tutta la speranza in Gesù di Nazareth: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo” (v. 27). La comunione con Cristo in questa vita ci prepara a superare il confine della morte, per vivere senza fine in Lui. La fede nella risurrezione dei morti e la speranza della vita eterna aprono il nostro sguardo al senso ultimo della nostra esistenza: Dio ha creato l’uomo per la risurrezione e per la vita, e questa verità dona la dimensione autentica e definitiva alla storia degli uomini, alla loro esistenza personale e al loro vivere sociale, alla cultura, alla politica, all’economia. Privo della luce della fede l’universo intero finisce rinchiuso dentro un sepolcro senza futuro, senza speranza.
Il percorso quaresimale trova il suo compimento nel Triduo Pasquale, particolarmente nella Grande Veglia nella Notte Santa: rinnovando le promesse battesimali, riaffermiamo che Cristo è il Signore della nostra vita, quella vita che Dio ci ha comunicato quando siamo rinati “dall’acqua e dallo Spirito Santo”, e riconfermiamo il nostro fermo impegno di corrispondere all’azione della Grazia per essere suoi discepoli.

3. Il nostro immergerci nella morte e risurrezione di Cristo attraverso il Sacramento del Battesimo, ci spinge ogni giorno a liberare il nostro cuore dal peso delle cose materiali, da un legame egoistico con la “terra”, che ci impoverisce e ci impedisce di essere disponibili e aperti a Dio e al prossimo. In Cristo, Dio si è rivelato come Amore (cfr 1Gv 4,7-10). La Croce di Cristo, la “parola della Croce” manifesta la potenza salvifica di Dio (cfr 1Cor 1,18), che si dona per rialzare l’uomo e portargli la salvezza: amore nella sua forma più radicale (cfr Enc. Deus caritas est, 12). Attraverso le pratiche tradizionali del digiuno, dell’elemosina e della preghiera, espressioni dell’impegno di conversione, la Quaresima educa a vivere in modo sempre più radicale l’amore di Cristo. Il digiuno, che può avere diverse motivazioni, acquista per il cristiano un significato profondamente religioso: rendendo più povera la nostra mensa impariamo a superare l’egoismo per vivere nella logica del dono e dell’amore; sopportando la privazione di qualche cosa - e non solo di superfluo - impariamo a distogliere lo sguardo dal nostro “io”, per scoprire Qualcuno accanto a noi e riconoscere Dio nei volti di tanti nostri fratelli. Per il cristiano il digiuno non ha nulla di intimistico, ma apre maggiormente a Dio e alle necessità degli uomini, e fa sì che l’amore per Dio sia anche amore per il prossimo (cfr Mc 12,31).

Nel nostro cammino ci troviamo di fronte anche alla tentazione dell’avere, dell’avidità di denaro, che insidia il primato di Dio nella nostra vita. La bramosia del possesso provoca violenza, prevaricazione e morte; per questo la Chiesa, specialmente nel tempo quaresimale, richiama alla pratica dell’elemosina, alla capacità, cioè, di condivisione. L’idolatria dei beni, invece, non solo allontana dall’altro, ma spoglia l’uomo, lo rende infelice, lo inganna, lo illude senza realizzare ciò che promette, perché colloca le cose materiali al posto di Dio, unica fonte della vita. Come comprendere la bontà paterna di Dio se il cuore è pieno di sé e dei propri progetti, con i quali ci si illude di potersi assicurare il futuro? La tentazione è quella di pensare, come il ricco della parabola: “Anima mia, hai a disposizione molti beni per molti anni…”. Conosciamo il giudizio del Signore: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita…” (Lc 12,19-20). La pratica dell’elemosina è un richiamo al primato di Dio e all’attenzione verso l’altro, per riscoprire il nostro Padre buono e ricevere la sua misericordia.
In tutto il periodo quaresimale, la Chiesa ci offre con particolare abbondanza la Parola di Dio. Meditandola ed interiorizzandola per viverla quotidianamente, impariamo una forma preziosa e insostituibile di preghiera, perché l’ascolto attento di Dio, che continua a parlare al nostro cuore, alimenta il cammino di fede che abbiamo iniziato nel giorno del Battesimo. La preghiera ci permette anche di acquisire una nuova concezione del tempo: senza la prospettiva dell’eternità e della trascendenza, infatti, esso scandisce semplicemente i nostri passi verso un orizzonte che non ha futuro. Nella preghiera troviamo, invece, tempo per Dio, per conoscere che “le sue parole non passeranno” (cfr Mc 13,31), per entrare in quell’intima comunione con Lui “che nessuno potrà toglierci” (cfr Gv 16,22) e che ci apre alla speranza che non delude, alla vita eterna.
In sintesi, l’itinerario quaresimale, nel quale siamo invitati a contemplare il Mistero della Croce, è “farsi conformi alla morte di Cristo” (Fil 3,10), per attuare una conversione profonda della nostra vita: lasciarci trasformare dall’azione dello Spirito Santo, come san Paolo sulla via di Damasco; orientare con decisione la nostra esistenza secondo la volontà di Dio; liberarci dal nostro egoismo, superando l’istinto di dominio sugli altri e aprendoci alla carità di Cristo. Il periodo quaresimale è momento favorevole per riconoscere la nostra debolezza, accogliere, con una sincera revisione di vita, la Grazia rinnovatrice del Sacramento della Penitenza e camminare con decisione verso Cristo.

Cari fratelli e sorelle, mediante l’incontro personale col nostro Redentore e attraverso il digiuno, l’elemosina e la preghiera, il cammino di conversione verso la Pasqua ci conduce a riscoprire il nostro Battesimo. Rinnoviamo in questa Quaresima l’accoglienza della Grazia che Dio ci ha donato in quel momento, perché illumini e guidi tutte le nostre azioni. Quanto il Sacramento significa e realizza, siamo chiamati a viverlo ogni giorno in una sequela di Cristo sempre più generosa e autentica. In questo nostro itinerario, ci affidiamo alla Vergine Maria, che ha generato il Verbo di Dio nella fede e nella carne, per immergerci come Lei nella morte e risurrezione del suo Figlio Gesù ed avere la vita eterna.
Dal Vaticano, 4 novembre 2010


BENEDICTUS PP. XVI

lunedì 21 febbraio 2011

Sbarco dei migranti: accoglienza e rispetto dei diritti fondamentali della persona


Conferenza Episcopale Siciliana
Ufficio Regionale per le Migrazioni
L'Ufficio Regionale per le Migrazioni, organismo pastorale della Conferenza Episcopale Siciliana che si occupa della cura delle persone coinvolte dalla mobilità umana, è preoccupato che l’arrivo di qualche migliaio di migranti, provenienti dalla sponda Sud del Mediterraneo, possa alimentare posizioni di intolleranza. Il tipo di attenzione mediatica che hanno suscitato gli sbarchi dei giorni scorsi rischia, infatti, di farci dimenticare la circostanza che un Paese di 60 milioni di persone non può entrare in crisi per l'arrivo di meno di 5 mila disperati in fuga dalla fame, dalla guerra, dalle ingiustizie. Le dichiarazioni di tanti uomini politici non devono trarre in inganno: non è possibile, con la logica dell'emergenza, governare un fenomeno complesso come quello
dell'emigrazione dal Sud del mondo. Il momento di profonda incertezza vissuto dai Paesi della costa meridionale del Mediterraneo, rende inevitabile un ripensamento della politica italiana in materia di immigrazione e di protezione internazionale.
Paradossalmente questa crisi è un'occasione che può rilanciare, anche nel nostro Paese, un confronto su un fenomeno epocale che richiede politiche improntate all'accoglienza e all’integrazione piuttosto che al rifiuto.
Anche la Commissione Episcopale per le Migrazioni e la Fondazione Migrantes, organismi della Chiesa Italiana, con un comunicato stampa del 17 febbraio u.s., hanno espresso la propria posizione, proponendo azioni concrete: “alla riapertura del Centro di Lampedusa e di altri Centri di accoglienza in Italia, alla dichiarazione dello stato di emergenza umanitaria del Consiglio dei Ministri, debbono seguire almeno tre percorsi politici e sociali”.
Queste le indicazioni:
- creare un percorso strutturale di integrazione dei richiedenti asilo e dei rifugiati nel nostro Paese, rafforzando l’esperienza dello SPRAR (Sistema Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati);
- valutare la possibilità di un decreto flussi straordinario, che permetta di offrire un regolare inserimento lavorativo di quanti provengono da questi Paesi;
- rafforzare la cooperazione internazionale nei Paesi del Nord Africa, con risorse e piani di sviluppo che mirino a creare macro e micro-progetti, sostenendo il protagonismo delle persone e delle famiglie nordafricane.
Le Chiese di Sicilia in questo momento si sentono particolarmente interpellate e l’Ufficio Regionale per le Migrazioni, attraverso i Direttori diocesani Migrantes, invita la comunità cristiana dell’Isola ad un supplemento di ospitalità, promuovendo e sostenendo atteggiamenti e opere di fraterna accoglienza che sappiano aiutare la classe politica a non rispondere con la chiusura a chi arriva tra di noi per chiedere giustizia, pace e protezione. Ai mezzi di comunicazione, inoltre, chiediamo una maggiore attenzione nei confronti dei migranti, richiamandoli al rispetto della "Carta di Roma", documento sottoscritto dall'Ordine dei Giornalisti e redatto nel tentativo di evitare la diffusione di informazioni imprecise o sommarie riguardo a richiedenti asilo, rifugiati o vittime della tratta.
Palermo, 21 febbraio 2011