mercoledì 7 ottobre 2009

C’è un Giudice a Berlino.

Il Lodo Alfano è incostituzionale.
Lo ha deciso a maggioranza la Consulta: per i giudici era necessaria una legge costituzionale ma il Lodo, in ogni caso, ha violato anche l'articolo 3 della Carta, quello che stabilisce l'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge.
La decisione è stata presa a maggioranza (9 giudici contro 6) e avrà come effetto immediato la riapertura di due processi a carico del premier Silvio Berlusconi: per corruzione in atti giudiziari dell'avvocato David Mills e per reati societari nella compravendita di diritti tv Mediaset.

Per approfondire l'argomento e riflettere sul momento particolare che sta vivendo l'Italia, vi sottopongo questo articolo di Anselmo Grotti.

Lo Stato di diritto
In ogni stato democratico si può legittimamente essere di sinistra, di centro, di destra condividendo alcuni valori di fondo, le regole del confronto politico, il rispetto per le istituzioni e il diritto. Sono tutte realtà che durano molto più a lungo della carriera di un singolo politico, della vicenda di un partito, della sorte di una ideologia. Abbiamo vissuto anomalie evidenti nella vita politica italiana. Niccolò Ghedini ha detto: “La legge è uguale per tutti ma non sempre lo è la sua applicazione» . «Con le modifiche apportate alla legge elettorale – ha aggiunto Pecorella -, il presidente del Consiglio non può più essere considerato uguale agli altri parlamentari, ossia non è più ‘primus inter pares’, ma deve essere considerato ‘primus super pares»’. “Primus super pares?”… Siamo lontrani mille miglia dallo Stato di diritto. La Consulta ha bocciato il lodo Alfano. Ne va preso atto. Preoccupa un ministrro che evoca il richiamo “al popolo”. Aveva detto: “Il lodo non sarà bocciato. Non si può sfidare l’ira dei popoli”. Invece, semplicemente, in uno Stato di diritto le sentenze si rispettano. C’è qualcosa di profondamente malsano in questa ipertrofia dell’ego, in questa presunzione di onnipotenza. Se togliamo alle frasi pronunciate dal Presidente del Consiglio il pronome “io”, tali frasi si riducono del cinquanta per cento. In quale Paese l’affermazione di un presidente “pro tempore” di essere “il migliore politico italiano degli ultini 150 anni” non suscita imbarazzo, senso del ridicolo, ridimensionamento? In quale Paese? In Italia. Con poche lodevoli eccezioni: Claudio Magris ha definito “buffa” la frase, e sia benedetta la compostezza di questo signore mitteleuropeo, certamente non iscrivibile nel partito degli arrabbiati e degli scomposti. Così ha scritto il 17 settembre sul “Corriere”: Quella buffa autoesaltazione del nostro presidente del Consiglio — che di fatto è un’involontaria autocaricatura e potrebbe essere la battuta di un comico che cerca di metterlo malignamente in ridicolo — è imbarazzante, al di là di ogni orientamento politico di centrodestra o centrosinistra, per tutti e specialmente per i suoi sostenitori.
De Gasperi, che era un ben più grande uomo politico, non si paragonava certo a Bismarck o a Napoleone; anche per questo era un grande e aveva tutti i titoli per governare un Paese, il che richiede molte e diverse qualità fra cui l’equilibrio e soprattutto il senso della realtà, dei rapporti di grandezza e di forza, delle oggettive misure di se stessi e delle cose. Ciò vale in ogni campo ed è particolarmente necessario in politica.
Ma può darsi che quell’impennata sia dovuta alla frequentazione di compagnie discutibili; Berlusconi è reduce da un cordiale incontro col Colonnello Gheddafi, e la Libia, che il prossimo 23 settembre assumerà la presidenza dell’Assemblea generale dell’Onu, si appresta, come è stato annunciato, a chiedere ufficialmente la dissoluzione della Svizzera tra la Francia, la Germania e l’Italia…”. Eppure Magris ha torto: quella che potrebbe essere la battuta di un comico che mette in ridicolo un politico in Italia non ha questo effetto. Lo avrebbe nella Mitteleuropa, o in qualsiasi stato democratico.
Siamo uno strano Paese. Per lo Stato italiano Tanzi è tuttora degno del titolo di Cavaliere del Lavoro: l’onorificenza non gli è stata revocata. Un Cavaliere del Lavoro è un uomo, dice la legge 194 del 1986, che tra l’altro deve «aver tenuto una specchiata condotta civile e sociale» e «non aver svolto né in Italia né al l’estero attività economiche lesive dell’economia nazionale». Come Tanzi, evidentemente. Dunque mentre Bernard Madoff in otto mesi è passato dalle stelle al le celle, il nostro «campione» nazionale dopo sei anni è ancora Cavaliere del Lavoro.
Viene intaccato il suolo profondo del vivere civile. Lo scudo fiscale è un premio ai furbi, una ulteriore umiliazione per chi giorno dopo giorno faticosamente lavora, dignitosamente sostie la famiglia e i figli, silenzionsamete paga i tributi. Ma ancora più inquietanti sono le motivazioni: da questa operazione si potranno trarre molti denari, servirà – dice il Presidente “ad aiutare i bisognosi”. Un sacco di errori in una battuta. Pensiamo intanto a quel termine orrendo (”bisognosi”). Rimanda a uno stato paternalistico, che benevolmente di tanto in tanto si degna di gettare un pezzo di pane al povero lazzaro. Il tintinnare delle chiavi delle nuova casa, lungamente fatte agitare davanti al bambino a beneficio delle telecamere, ne è un ulteriore esempio. Nel compleanno (scusate, “genetliaco”) del potente di turno si festeggia la liberalità, la capacità di fare miracoli, l’onniscienza del Presidente. Quello che era un diritto del cittadino si è trasformato nel regalo del feudatario al vassallo. E poi un concetto più giuridico. Lo Stato non incamera denaro, sia pure a fin di bene, da operazioni illecite. La fiducia nelle istituzioni, il bene comune, l’imparzialità della legge rappresentano valori troppo alti per essere svenduti. “Da un male può nascere un bene”, ha detto Egli. No, da un male nasce un altro male. Se anche lo Stato impegnato a combattere un evasore fiscale spendesse in questa operazione la stessa cifra che potrebbe recuperare – e anche di più – dovrebbe farlo lo stesso. Un privato rinuncia a perseguire il debitore se spende più di quanto otterrebbe. Lo Stato non deve farlo: la tutela della legge, la sua imparzialità e la fiducia dei cittadini sono un valore più grande. Il problema dell’Italia non è quello di essere guidato da un governo di destra. Questo è normale. In Germania ha vinto la Merkel, in Francia Sarkozy, in Gran Bretagna i laburisti sono allo sbando. In Grecia invece hanno vinto i socialisti. Ciascuno può rallegrarsi di questo o di quel governo, ma da nessuna parte sono messe in discussioni le basi dello Stato. Ma il problema dell’Italia è il prevalere di una incultura politica che smantella le basi stesse del vivere civile, il concetto di stato di diritto. Una coalizione di governo ha ricevuto il mandato di governare. Lo faccia, ne ha pieno diritto. Ma non si dica che il voto popolare (su liste bloccate) dia una sinecura totale, cancelli ogni necessario rispetto delle leggi.
In Italia Egli ha un consenso molto forte, stando ai sondaggi ma evidentemente anche ai voti delle elezioni. C’è però un fatto su cui riflettere, una ulteriore anomalia. C’è una forte differenza tra il consenso che Egli raccoglie in Italia e quello che raccoglie all’estero. Da un punto di vista tecnico questa anomalia è tipica dei regimi non o non del tutto democratici. Il capo della Corea del Nord gode di un largo consenso nel paese. Molto meno all’estero. La coppia dei fratelli Castro a Cuba godono di un largo consenso a Cuba. Meno all’estero. Gheddafi in Libia è certamente il miglior politico degli ultimi 150 anni. All’estero, dalle Nazioni Unite alla Svizzera, si ha un’idea leggermente diversa. Anche il presidente dell’Iran è più popolare nei regimi musulmani fondamentalisti che nei paesi occidentali. Non sono molti i giornali che se la sentono di attaccare Putin in Russia. All’estero sono di più.
******** “Nel coro di giuste critiche, a cui si sono associati anche alcuni familiare del presidente, manca una voce: quella dei cattolici (e laici) impegnati in politica a fianco del presidente del consiglio. Nessuno chiede loro di abbandonare lo schieramento del Cavaliere, ma soltanto di far sentire la loro voce. Non è pensabile che otrganizzatori del Family Day o accompagnatori del oresidente al Meeting di Rimini tra giovani cattolici, o membri del Governo che si occupano di politiche familiari non abbaimo nulla da dire. E le numerose e rispettabili signore: ministre, parlamentari ecc. non sentono l’obbligo di contestare una concezione della donna come abbellimento di feste notturne?” (Giulio Fabbri, Docente di Storia della Chiesa, Pisa, su FC 39/2009).
***********”Leggere è il cibo della mente” recita la filastrocca voluta da Palazzo Chigi (…). Il premier ha però chiarito cosa: “Vi invito a non leggere i giornali. Io non lo faccio da tempo e ne traggo grande giovamento”.
************”In questa tragedia l’abusivismo edilizio non c’entra nulla” (Buzzanca, sindaco di Messina. Da non confondere con il più celebre Lando, – che era attore più serio).
Anselmo Grotti