giovedì 31 marzo 2011

30.03.2011. Padre Pepe: Dio, Padre di ogni consolazione, ha chiamato a sé l’amato "Padre Sariddu".

Ho appena appreso la notizia della dipartita di Padre Rosario Pepe di cui tutti i menenini serbiamo ricordi indelebili.Un Grande menino che ha segnato la storia del nostro paese, un "profeta" che ha saputo "educare il suo popolo" e "ha dato la vita" per la sua gente. Un Don Primo Mazzolari in terra di Sicilia.
Sono fiero ed orgoglioso di averlo conosciuto,un validissimo esempio umano e religioso,che porterò per sempre nel mio cuore.

mercoledì 16 marzo 2011

Costituzione e unità d'Italia.

Per una riflessione d’insieme sulla ricorrenza dei 150 anni di unificazione, mi è sembrato significativo e profondo l'intervento di Giovanni Maria Flick (presidente emerito della Corte costituzionale, ex ministro della giustizia nel govenro prodi, ecc), che mette in correlazione Unità e Carta costituzionale, ripercorrendo le fasi e i cambiamenti del lungo periodo e proponendo piste di sviluppo per il futuro.

Costituzione e unità d'Italia

La Carta vede al centro del sistema non lo Stato ma la persona

Il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele II, re di Sardegna, diventava - per grazia divina e per volontà della nazione - re d'Italia, dando inizio così al lungo percorso dell'Unità d'Italia. Da allora sono passati centocinquanta anni e ci stiamo preparando a celebrarne l'anniversario: quale è il modo migliore per ricordare adeguatamente un evento tanto importante per la storia del nostro Paese?

Innanzitutto, credo che l'anniversario debba essere celebrato cercando di evitare la retorica di solito, purtroppo, consueta in queste occasioni; ma cercando anche di evitare l'approssimazione o l'estremismo secondo cui quello che è capitato in questi centocinquanta anni è tutto bello e positivo (ignorandone gli errori e le ambiguità) o, al contrario, è tutto sbagliato e da rifiutare (ignorandone i successi e le conquiste). Riflettendo con spirito critico sulla situazione attuale, qualcuno si domanda addirittura se abbia ancora senso parlare di Unità d'Italia, e se sia ancora possibile e utile guardare al passato, al fine di trarne qualche insegnamento per il presente e per il futuro, secondo la scritta che sta sull'ingresso del campo di concentramento di Dachau: "Chi ignora il passato è condannato a ripeterlo".

Per rispondere a questi interrogativi, vale la pena di dare uno sguardo retrospettivo ai centocinquanta anni trascorsi: una parabola che ha come momento centrale quella Costituzione che oggi è alla base del nostro modo di vivere insieme. Essa è stata preceduta da una unificazione che si è snodata attraverso quattro guerre di indipendenza; tre l'avevano costruita, mentre la quarta (la guerra del 1915-1918) l'aveva consolidata, completando il primo Risorgimento. Ma in quella stessa parabola si collocano anche il fascismo, la seconda guerra mondiale, la sconfitta, la perdita dell'unità nazionale, quando il Paese tornò a dividersi tra il Regno del Sud e la Repubblica Sociale al Nord. Infine, nella parabola si collocano la Resistenza, la guerra civile, il secondo Risorgimento, per giungere alla scelta repubblicana e alla Costituzione, che rappresenta - anche cronologicamente - il momento centrale e attuale della nostra esperienza e della nostra vita unitaria. Soprattutto alla Costituzione - alla sua origine, alla sua scrittura, alla sua attuazione (certamente incompleta) - bisogna quindi volgere lo sguardo, per celebrare questi centocinquanta anni; e vorrei provare a farlo con le parole - quanto mai attuali - di due miei autorevolissimi predecessori.

Il primo di essi, Enrico De Nicola, era un liberale monarchico, che divenne capo provvisorio dello Stato e poi primo presidente della Corte Costituzionale. Alla prima udienza di quest'ultima, nel 1956, disse: "La Costituzione è poco conosciuta anche da chi ne parla con saccenza. Deve essere divulgata senza indugio prima che sia troppo tardi". Il secondo, Leopoldo Elia, anch'egli presidente della Corte, nel 2008, in occasione del sessantesimo anniversario della Costituzione, ricordava che "essa è profondamente attuale, ha saputo comprendere fenomeni nuovi, non previsti quando venne scritta". Si riferiva a temi come l'ambiente, la privacy, il mercato e la concorrenza, la dimensione europea; temi che la Costituzione ha certamente saputo cogliere, consentendone lo sviluppo, l'attuazione e la tutela, pur senza averli previsti esplicitamente. A queste due affermazioni - significative, in tempi nei quali si dibatte sulla Costituzione domandandosi se sia ormai superata e se, quindi, vada cambiata - vorrei aggiungerne una terza. Oggi, la Costituzione non solo è conosciuta poco, anche dagli addetti ai lavori; non solo è attuale, a sessant'anni dalla sua nascita; ma è anche la chiave per comprendere il significato dell'unità d'Italia e la sua continuità su basi nuove e attuali, attraverso la prosecuzione e l'evoluzione del patriottismo, nel passaggio dal primo al secondo Risorgimento.

È una costruzione, quella proposta dalla Costituzione, che vede al centro del nostro sistema non più lo Stato come durante il fascismo, ma la persona. Essa si snoda nella definizione di una serie di rapporti civili, sociali, economici e politici, in cui la Costituzione sviluppa i diritti e i doveri che sono tra loro strettamente legati. Credo che i valori, contenuti nei principi fondamentali con cui si apre la nostra Costituzione, possano essere efficacemente riassunti nel principio di pari dignità sociale e nel principio di laicità.

Il primo è un valore di contenuto, di cui parla l'articolo 3 della Costituzione, sottolineando il rapporto tra l'eguaglianza formale di tutti di fronte alla legge e la eguaglianza sostanziale, cui è necessario arrivare eliminando le disparità di fatto che impediscono la piena partecipazione di tutti (non solo i cittadini) alla vita pubblica e sociale. La pari dignità sociale rappresenta la chiave di collegamento tra l'eguaglianza e la diversità (il pluralismo), che è un altro dei valori fondamentali della nostra Costituzione, attraverso la solidarietà.

Accanto al valore della dignità, di contenuto, si colloca il valore della laicità; un valore di metodo (il metodo democratico), non menzionato esplicitamente nella Costituzione, ma che la Corte Costituzionale ha desunto da essa con una sentenza del 1989, dopo la modifica del Concordato con la Chiesa Cattolica nel 1984. La laicità va intesa non soltanto con riferimento al rapporto tra Stato e Chiesa e alla dimensione religiosa; ma altresì con riferimento al rispetto reciproco - nella consapevolezza dei propri valori e allo stesso tempo nel rispetto dei valori dell'altro - e al dialogo, in antitesi alla sopraffazione. È, insomma, quello che Bobbio definiva "accettare l'altro per quello che è". È un valore che nasce dall'eguaglianza e dalla libertà religiosa, dal rifiuto del laicismo, ma anche da quello del radicalismo, del fanatismo e dell'intolleranza; è la prospettiva del dialogo nel rispetto reciproco.

Nel primo Risorgimento la nazione si è fatta Stato attraverso il riferimento a una serie di valori come la storia, la cultura, la lingua, il territorio; anche se, in un secondo momento, questo senso di appartenenza alla nazione è stato turbato dal centralismo, dalla burocrazia, da quella che venne definita la "piemontesizzazione" del Sud, dalle carenze dello Stato, fino ad arrivare al rischio dello scollamento tra nazione e Stato. Nel secondo Risorgimento, il tema della patria si è espresso attraverso il riferimento a valori comuni e condivisi, di appartenenza alla comunità: un patriottismo costituzionale che è fondato su valori nuovi, più attuali di quelli su cui si è giocato il primo patriottismo, capaci perciò di gestire la nostra convivenza nel futuro e di fronte ai problemi della globalizzazione.

I valori del primo Risorgimento costituiscono un patrimonio elitario - affidato soprattutto agli intellettuali, attraverso la cultura, la storia, le tradizioni, la lingua - al quale rimase per lo più estraneo o indifferente il popolo, salvo qualche esperienza isolata: la partecipazione popolare alla Spedizione dei Mille, alle Cinque Giornate di Milano, ai moti insurrezionali. Il secondo Risorgimento ci propone, invece, un'altra serie di valori: l'eguaglianza formale e sostanziale; la solidarietà; la democrazia; la sovranità popolare; il pluralismo; il pacifismo; l'unità e l'indivisibilità dell'Italia e nello stesso tempo l'autonomia.

La Costituzione nasce con il secondo Risorgimento, dopo la dittatura, la sconfitta e la divisione creatasi nuovamente nel 1943 in Italia tra il Regno del Sud, in cui continuava a esistere lo Stato grazie alla presenza alleata, e la Repubblica sociale al Nord; quella che venne definita la morte della patria, ma che in realtà è stata all'origine della sua rinascita.

Uno dei fenomeni sui quali ritengo sia doveroso riflettere di più, per capire meglio la situazione attuale, è rappresentato dalla Resistenza: un fenomeno globale, caratterizzato dalla lotta armata partigiana; dalla fedeltà e dalla testimonianza dei militari (si pensi a coloro che morirono a Cefalonia e a coloro che rifiutarono di giurare nei campi di concentramento) e dalla partecipazione della popolazione civile. Non si possono certamente ignorare gli scontri, le violenze, i torti reciproci che hanno caratterizzato la Resistenza. Qualcuno dubita dell'utilità - se non della possibilità - di avere una memoria condivisa. Io credo che occorra almeno raggiungere la consapevolezza della pluralità e della contrapposizione fra le memorie, ferma restando la consapevolezza di quale doveva essere la parte "giusta" con cui schierarsi, in nome della libertà e contro la dittatura e la sopraffazione. Ma occorre altresì cercare di giungere non tanto alla condivisione, quanto piuttosto alla comprensione per chi ha sbagliato in buona fede.

Dopo la Resistenza, seguirono altri eventi determinanti. In primo luogo, vi fu la scelta del 2 giugno 1946, con il referendum e il passaggio dalla Monarchia alla Repubblica; momenti caratterizzati da tensioni, da accuse di brogli e dal rinnovato contrasto tra il Nord repubblicano e il Sud monarchico, che fecero nuovamente temere (così De Gasperi) per l'unità morale e territoriale del Paese. Il referendum fu una forma di rispetto della volontà popolare, demandando al popolo la scelta tra Repubblica e Monarchia. Al referendum seguì l'Assemblea Costituente, che rappresentò la prima occasione di suffragio universale e di voto alle donne, e giunse a scrivere e ad approvare - con una larghissima maggioranza - la Costituzione in vigore dal 1? gennaio 1948: una costituzione frutto di un compromesso "alto" tra la componente liberale ed elitaria, la componente cattolica, la componente social-comunista.

Una Costituzione che pone al centro la persona, nel suo valore individuale e nella sua proiezione sociale; e che ebbe un duplice, importantissimo significato. Da un lato, rappresenta il rifiuto del passato, della dittatura, del fascismo e dei suoi valori di riferimento (il corporativismo, il bellicismo, l'autarchia, il razzismo); dall'altro lato, rappresenta il rinnovamento attraverso un patto per il futuro, in cui si sperava di raggiungere un nuovo clima che consentisse la convivenza del nostro popolo.

Dopo l'entrata in vigore della Costituzione, i partiti che avevano svolto un ruolo fondamentale nel collegare la società civile a uno Stato da rivitalizzare, hanno finito poi con l'occupare lo Stato e le istituzioni; al tempo stesso sono ritornati alla carica il centralismo e il burocraticismo, che erano già stati uno dei vizi del primo Stato unitario. La Costituzione, in parte non è stata attuata, in parte è stata attuata con molto ritardo, tanto che qualcuno ha parlato di Costituzione tradita. Quei difetti, quelle ambiguità, quei vizi che avevano segnato il primo Risorgimento, hanno segnato anche il secondo.

Giovanni Maria Flick

(L'Osservatore Romano, 14-15 marzo 2011)

domenica 6 marzo 2011

La Quaresima: In cammino verso la Pasqua.

Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la Quaresima 2011

Cari fratelli e sorelle,

la Quaresima, che ci conduce alla celebrazione della Santa Pasqua, è per la Chiesa un tempo liturgico assai prezioso e importante, in vista del quale sono lieto di rivolgere una parola specifica perché sia vissuto con il dovuto impegno. Mentre guarda all’incontro definitivo con il suo Sposo nella Pasqua eterna, la Comunità ecclesiale, assidua nella preghiera e nella carità operosa, intensifica il suo cammino di purificazione nello spirito, per attingere con maggiore abbondanza al Mistero della redenzione la vita nuova in Cristo Signore (cfr Prefazio I diQuaresima).

1. Questa stessa vita ci è già stata trasmessa nel giorno del nostro Battesimo, quando, “divenuti partecipi della morte e risurrezione del Cristo”, è iniziata per noi “l’avventura gioiosa ed esaltante del discepolo” (Omelia nella Festa del Battesimo del Signore, 10 gennaio 2010). San Paolo, nelle sue Lettere, insiste ripetutamente sulla singolare comunione con il Figlio di Dio realizzata in questo lavacro. Il fatto che nella maggioranza dei casi il Battesimo si riceva da bambini mette in evidenza che si tratta di un dono di Dio: nessuno merita la vita eterna con le proprie forze. La misericordia di Dio, che cancella il peccato e permette di vivere nella propria esistenza “gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2,5), viene comunicata all’uomo gratuitamente.
L’Apostolo delle genti, nella Lettera ai Filippesi, esprime il senso della trasformazione che si attua con la partecipazione alla morte e risurrezione di Cristo, indicandone la meta: che “io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti” (Fil 3,10-11). Il Battesimo, quindi, non è un rito del passato, ma l’incontro con Cristo che informa tutta l’esistenza del battezzato, gli dona la vita divina e lo chiama ad una conversione sincera, avviata e sostenuta dalla Grazia, che lo porti a raggiungere la statura adulta del Cristo.Un nesso particolare lega il Battesimo alla Quaresima come momento favorevole per sperimentare la Grazia che salva.

I Padri del Concilio Vaticano II hanno richiamato tutti i Pastori della Chiesa ad utilizzare “più abbondantemente gli elementi battesimali propri della liturgia quaresimale” (Cost. Sacrosanctum Concilium, 109). Da sempre, infatti, la Chiesa associa la Veglia Pasquale alla celebrazione del Battesimo: in questo Sacramento si realizza quel grande mistero per cui l’uomo muore al peccato, è fatto partecipe della vita nuova in Cristo Risorto e riceve lo stesso Spirito di Dio che ha risuscitato Gesù dai morti (cfr Rm 8,11). Questo dono gratuito deve essere sempre ravvivato in ciascuno di noi e la Quaresima ci offre un percorso analogo al catecumenato, che per i cristiani della Chiesa antica, come pure per i catecumeni d’oggi, è una scuola insostituibile di fede e di vita cristiana: davvero essi vivono il Battesimo come un atto decisivo per tutta la loro esistenza.

2. Per intraprendere seriamente il cammino verso la Pasqua e prepararci a celebrare la Risurrezione del Signore - la festa più gioiosa e solenne di tutto l’Anno liturgico - che cosa può esserci di più adatto che lasciarci condurre dalla Parola di Dio? Per questo la Chiesa, nei testi evangelici delle domeniche di Quaresima, ci guida ad un incontro particolarmente intenso con il Signore, facendoci ripercorrere le tappe del cammino dell’iniziazione cristiana: per i catecumeni, nella prospettiva di ricevere il Sacramento della rinascita, per chi è battezzato, in vista di nuovi e decisivi passi nella sequela di Cristo e nel dono più pieno a Lui.

La prima domenica dell’itinerario quaresimale evidenzia la nostra condizione dell’uomo su questa terra. Il combattimento vittorioso contro le tentazioni, che dà inizio alla missione di Gesù, è un invito a prendere consapevolezza della propria fragilità per accogliere la Grazia che libera dal peccato e infonde nuova forza in Cristo, via, verità e vita (cfr Ordo Initiationis Christianae Adultorum, n. 25). E’ un deciso richiamo a ricordare come la fede cristiana implichi, sull’esempio di Gesù e in unione con Lui, una lotta “contro i dominatori di questo mondo tenebroso” (Ef 6,12), nel quale il diavolo è all’opera e non si stanca, neppure oggi, di tentare l’uomo che vuole avvicinarsi al Signore: Cristo ne esce vittorioso, per aprire anche il nostro cuore alla speranza e guidarci a vincere le seduzioni del male.

Il Vangelo della Trasfigurazione del Signore pone davanti ai nostri occhi la gloria di Cristo, che anticipa la risurrezione e che annuncia la divinizzazione dell’uomo. La comunità cristiana prende coscienza di essere condotta, come gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, “in disparte, su un alto monte” (Mt 17,1), per accogliere nuovamente in Cristo, quali figli nel Figlio, il dono della Grazia di Dio: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo” (v. 5). E’ l’invito a prendere le distanze dal rumore del quotidiano per immergersi nella presenza di Dio: Egli vuole trasmetterci, ogni giorno, una Parola che penetra nelle profondità del nostro spirito, dove discerne il bene e il male (cfr Eb 4,12) e rafforza la volontà di seguire il Signore.

La domanda di Gesù alla Samaritana: “Dammi da bere” (Gv 4,7), che viene proposta nella liturgia della terza domenica, esprime la passione di Dio per ogni uomo e vuole suscitare nel nostro cuore il desiderio del dono dell’ “acqua che zampilla per la vita eterna” (v. 14): è il dono dello Spirito Santo, che fa dei cristiani “veri adoratori” in grado di pregare il Padre “in spirito e verità” (v. 23). Solo quest’acqua può estinguere la nostra sete di bene, di verità e di bellezza! Solo quest’acqua, donataci dal Figlio, irriga i deserti dell’anima inquieta e insoddisfatta, “finché non riposa in Dio”, secondo le celebri parole di sant’Agostino.
La “domenica del cieco nato” presenta Cristo come luce del mondo. Il Vangelo interpella ciascuno di noi: “Tu, credi nel Figlio dell’uomo?”. “Credo, Signore!” (Gv 9,35.38), afferma con gioia il cieco nato, facendosi voce di ogni credente. Il miracolo della guarigione è il segno che Cristo, insieme alla vista, vuole aprire il nostro sguardo interiore, perché la nostra fede diventi sempre più profonda e possiamo riconoscere in Lui l’unico nostro Salvatore. Egli illumina tutte le oscurità della vita e porta l’uomo a vivere da “figlio della luce”.

Quando, nella quinta domenica, ci viene proclamata la risurrezione di Lazzaro, siamo messi di fronte al mistero ultimo della nostra esistenza: “Io sono la risurrezione e la vita… Credi questo?” (Gv 11,25-26). Per la comunità cristiana è il momento di riporre con sincerità, insieme a Marta, tutta la speranza in Gesù di Nazareth: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo” (v. 27). La comunione con Cristo in questa vita ci prepara a superare il confine della morte, per vivere senza fine in Lui. La fede nella risurrezione dei morti e la speranza della vita eterna aprono il nostro sguardo al senso ultimo della nostra esistenza: Dio ha creato l’uomo per la risurrezione e per la vita, e questa verità dona la dimensione autentica e definitiva alla storia degli uomini, alla loro esistenza personale e al loro vivere sociale, alla cultura, alla politica, all’economia. Privo della luce della fede l’universo intero finisce rinchiuso dentro un sepolcro senza futuro, senza speranza.
Il percorso quaresimale trova il suo compimento nel Triduo Pasquale, particolarmente nella Grande Veglia nella Notte Santa: rinnovando le promesse battesimali, riaffermiamo che Cristo è il Signore della nostra vita, quella vita che Dio ci ha comunicato quando siamo rinati “dall’acqua e dallo Spirito Santo”, e riconfermiamo il nostro fermo impegno di corrispondere all’azione della Grazia per essere suoi discepoli.

3. Il nostro immergerci nella morte e risurrezione di Cristo attraverso il Sacramento del Battesimo, ci spinge ogni giorno a liberare il nostro cuore dal peso delle cose materiali, da un legame egoistico con la “terra”, che ci impoverisce e ci impedisce di essere disponibili e aperti a Dio e al prossimo. In Cristo, Dio si è rivelato come Amore (cfr 1Gv 4,7-10). La Croce di Cristo, la “parola della Croce” manifesta la potenza salvifica di Dio (cfr 1Cor 1,18), che si dona per rialzare l’uomo e portargli la salvezza: amore nella sua forma più radicale (cfr Enc. Deus caritas est, 12). Attraverso le pratiche tradizionali del digiuno, dell’elemosina e della preghiera, espressioni dell’impegno di conversione, la Quaresima educa a vivere in modo sempre più radicale l’amore di Cristo. Il digiuno, che può avere diverse motivazioni, acquista per il cristiano un significato profondamente religioso: rendendo più povera la nostra mensa impariamo a superare l’egoismo per vivere nella logica del dono e dell’amore; sopportando la privazione di qualche cosa - e non solo di superfluo - impariamo a distogliere lo sguardo dal nostro “io”, per scoprire Qualcuno accanto a noi e riconoscere Dio nei volti di tanti nostri fratelli. Per il cristiano il digiuno non ha nulla di intimistico, ma apre maggiormente a Dio e alle necessità degli uomini, e fa sì che l’amore per Dio sia anche amore per il prossimo (cfr Mc 12,31).

Nel nostro cammino ci troviamo di fronte anche alla tentazione dell’avere, dell’avidità di denaro, che insidia il primato di Dio nella nostra vita. La bramosia del possesso provoca violenza, prevaricazione e morte; per questo la Chiesa, specialmente nel tempo quaresimale, richiama alla pratica dell’elemosina, alla capacità, cioè, di condivisione. L’idolatria dei beni, invece, non solo allontana dall’altro, ma spoglia l’uomo, lo rende infelice, lo inganna, lo illude senza realizzare ciò che promette, perché colloca le cose materiali al posto di Dio, unica fonte della vita. Come comprendere la bontà paterna di Dio se il cuore è pieno di sé e dei propri progetti, con i quali ci si illude di potersi assicurare il futuro? La tentazione è quella di pensare, come il ricco della parabola: “Anima mia, hai a disposizione molti beni per molti anni…”. Conosciamo il giudizio del Signore: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita…” (Lc 12,19-20). La pratica dell’elemosina è un richiamo al primato di Dio e all’attenzione verso l’altro, per riscoprire il nostro Padre buono e ricevere la sua misericordia.
In tutto il periodo quaresimale, la Chiesa ci offre con particolare abbondanza la Parola di Dio. Meditandola ed interiorizzandola per viverla quotidianamente, impariamo una forma preziosa e insostituibile di preghiera, perché l’ascolto attento di Dio, che continua a parlare al nostro cuore, alimenta il cammino di fede che abbiamo iniziato nel giorno del Battesimo. La preghiera ci permette anche di acquisire una nuova concezione del tempo: senza la prospettiva dell’eternità e della trascendenza, infatti, esso scandisce semplicemente i nostri passi verso un orizzonte che non ha futuro. Nella preghiera troviamo, invece, tempo per Dio, per conoscere che “le sue parole non passeranno” (cfr Mc 13,31), per entrare in quell’intima comunione con Lui “che nessuno potrà toglierci” (cfr Gv 16,22) e che ci apre alla speranza che non delude, alla vita eterna.
In sintesi, l’itinerario quaresimale, nel quale siamo invitati a contemplare il Mistero della Croce, è “farsi conformi alla morte di Cristo” (Fil 3,10), per attuare una conversione profonda della nostra vita: lasciarci trasformare dall’azione dello Spirito Santo, come san Paolo sulla via di Damasco; orientare con decisione la nostra esistenza secondo la volontà di Dio; liberarci dal nostro egoismo, superando l’istinto di dominio sugli altri e aprendoci alla carità di Cristo. Il periodo quaresimale è momento favorevole per riconoscere la nostra debolezza, accogliere, con una sincera revisione di vita, la Grazia rinnovatrice del Sacramento della Penitenza e camminare con decisione verso Cristo.

Cari fratelli e sorelle, mediante l’incontro personale col nostro Redentore e attraverso il digiuno, l’elemosina e la preghiera, il cammino di conversione verso la Pasqua ci conduce a riscoprire il nostro Battesimo. Rinnoviamo in questa Quaresima l’accoglienza della Grazia che Dio ci ha donato in quel momento, perché illumini e guidi tutte le nostre azioni. Quanto il Sacramento significa e realizza, siamo chiamati a viverlo ogni giorno in una sequela di Cristo sempre più generosa e autentica. In questo nostro itinerario, ci affidiamo alla Vergine Maria, che ha generato il Verbo di Dio nella fede e nella carne, per immergerci come Lei nella morte e risurrezione del suo Figlio Gesù ed avere la vita eterna.
Dal Vaticano, 4 novembre 2010


BENEDICTUS PP. XVI