mercoledì 8 luglio 2009

7 Luglio 2009. La terza enciclica di Benedetto XVI: Caritas in veritate.


Tra i tanti commenti sulla terza enciclica "sociale" di Benedetto XVI, mi è sembrato utile pubblicare l'articolo di Fabio Zavattaro. Spero in seguito di pubblicare altri commenti e interventi che possano aiutarci a capire e comprendere meglio la portata e la grandezza di questa enciclica sulla dottrina sociale della Chiesa per tutti gli uonmi di buona volontà a cui è destinata.

Caritas in veritate, «unità di anima e corpo» di Fabio Zavattaro

Cresce la ricchezza mondiale in termini assoluti, ma aumentano le disparità, nascono nuove povertà, e continua lo scandalo di disuguaglianze clamorose. La corruzione e l’illegalità sono purtroppo presenti sia nel comportamento di soggetti economici e politici dei Paesi ricchi, sia negli stessi Paesi poveri. A non rispettare i diritti umani dei lavoratori sono a volte grandi imprese transnazionali e anche gruppi di produzione locale. Gli aiuti internazionali sono stati spesso distolti dalle loro finalità, per irresponsabilità dei donatori e dei fruitori, mentre ci sono forme eccessive di protezione della conoscenza da parte dei Paesi ricchi, mediante un utilizzo troppo rigido del diritto di proprietà intellettuale, specialmente nel campo sanitario.

È il ritratto della società, nel tempo delle globalizzazioni, secondo Papa Benedetto; ritratto che viene evidenziato dall’enciclica Caritas in veritate, resa nota martedì 7 luglio, e che porta la data del 29 giugno. Sei capitoli, una introduzione e una conclusione, 142 pagine, il testo si pone in continuità con i documenti pontifici di Paolo VI, la Populorum progressio, e di Giovanni Paolo II, la Centesimus annus; ma si trovano anche echi della prima enciclica sociale di Leone XIII, la Rerum novarum.

Lo sviluppo, sottolinea l’enciclica di Papa Benedetto, c’è stato e continua ad essere un fattore positivo che ha tolto dalla miseria miliardi di persone, ma va riconosciuto che lo stesso sviluppo economico è stato e continua ad essere gravato da distorsioni e drammatici problemi, messi ancora più in risalto dall’attuale situazione di crisi. Per questo di fronte a una attività finanziaria per lo più speculativa, a flussi migratori spesso provocati e mal gestiti, allo sfruttamento sregolato delle risorse della terra, occorre essere capaci di nuove responsabilità, di riscoprire valori di fondo su cui costruire il futuro. La crisi ci obbliga, scrive il Papa, ad approfondire alcuni aspetti dello sviluppo economico integrale alla luce della carità nella verità.

La prima sfida che indica Papa Benedetto è quella del lavoro per tutti. Scrive: «Serve garantire a tutti l’accesso al lavoro, e anzi a un lavoro decente. Bisogna rafforzare e rilanciare il ruolo dei sindacati, combattere la precarizzazione e – a meno che non comporti reali benefici per entrambi i Paesi coinvolti – la delocalizzazione dei posti di lavoro». Di più «non è lecito delocalizzare solo per godere di particolari condizioni di favore, o peggio per sfruttamento». In molti Paesi poveri rimane lo scandalo della fame. Dare da mangiare agli affamati, non è solo «un imperativo etico per la Chiesa», ma è divenuto, «anche un traguardo da perseguire per salvaguardare la pace e la stabilità del pianeta». La fame non dipende tanto da scarsità materiale, quanto piuttosto da scarsità di risorse sociali, la più importante delle quali è di natura istituzionale. È necessario che maturi «una coscienza solidale che consideri l’alimentazione e l’accesso all’acqua come diritti universali di tutti gli esseri umani, senza distinzioni né discriminazioni».

Il Papa poi sottolinea come il rispetto per la vita non possa essere disgiunto dallo sviluppo dei popoli: «L’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo», mentre in varie parti del mondo si sviluppano forme di controllo demografico che «giungono a imporre anche l’aborto», e nei Paesi sviluppati si è diffusa una «mentalità antinatalista che spesso si cerca di trasmettere anche ad altri Stati come se fosse un progresso culturale».

Serve dunque una economia etica, scrive ancora il Papa, amica della persona. La realtà mostra che «la convinzione della esigenza di autonomia dell’economia, che non deve accettare influenze di carattere morale, ha spinto l’uomo ad abusare dello strumento economico in modo persino distruttivo. A lungo andare, queste convinzioni hanno portato a sistemi economici, sociali e politici che hanno conculcato la libertà della persona e dei corpi sociali e che, proprio per questo, non sono stati in grado di assicurare la giustizia che promettevano». Lo sviluppo invece, «se vuole essere autenticamente umano», deve «fare spazio al principio di gratuità». Ciò vale anche per il mercato: il profitto non va demonizzato, ma deve essere finalizzato al perseguimento del bene comune.

Il tema dello sviluppo, scrive ancora il Papa, è oggi fortemente collegato anche ai doveri che nascono dal rapporto dell’uomo con la natura: «L’accaparramento delle risorse energetiche non rinnovabili da parte di alcuni Stati, gruppi di potere e imprese costituisce, infatti, un grave impedimento per lo sviluppo dei Paesi poveri». La comunità internazionale deve perciò «trovare le strade istituzionali per disciplinare lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili». «Le società tecnologicamente avanzate possono e devono diminuire il proprio fabbisogno energetico”, mentre deve “avanzare la ricerca di energie alternative». Alla fine «è necessario un effettivo cambiamento di mentalità che ci induca ad adottare nuovi stili di vita».

«Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell’uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale. È una contraddizione chiedere alle nuove generazioni il rispetto dell’ambiente naturale, quando l’educazione e le leggi non le aiutano a rispettare se stesse».

Papa Benedetto non dimentica nemmeno i migranti, che «recano un contributo significativo allo sviluppo economico del Paese ospite con il loro lavoro, oltre che a quello del Paese d’origine grazie alle rimesse finanziarie». Un fenomeno complesso che non può essere affrontato da un paese solo; ma anche per i Paesi che li ospitano, perché i migranti, scrive il Papa, «non possono essere considerati come una merce o una mera forza lavoro».


Lo sviluppo dei popoli, in definitiva «dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia». A questo obiettivo il cristianesimo fornisce un aiuto indispensabile, con il concetto di unità del genere umano, composto dai figli di Dio. «Manifestazione particolare della carità e criterio guida per la collaborazione fraterna di credenti e non credenti è senz’altro il principio di sussidiarietà, espressione dell’inalienabile libertà umana. La sussidiarietà è prima di tutto un aiuto alla persona, attraverso l’autonomia dei corpi intermedi». Si tratta quindi di un principio «particolarmente adatto a governare la globalizzazione e a orientarla verso un vero sviluppo umano», ed è anche «l’antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista», evitando che gli aiuti internazionali possano mantenere un popolo in uno stato di dipendenza.

Infine, per Papa Benedetto è anche fortemente sentita anche l’urgenza della riforma sia dell’Onu che «dell’architettura economica e finanziaria internazionale, affinché si possa dare reale concretezza al concetto di famiglia di Nazioni». Serve per il Papa, la presenza di una «vera autorità politica mondiale», che goda di «potere effettivo» e si dovrebbe, infine, istituire «un grado superiore di ordinamento internazionale» per governare la globalizzazione.

In conclusione, lo sviluppo per essere vero, deve comprendere una crescita spirituale oltre che materiale, perché la persona umana è un’«unità di anima e corpo», nata dall’amore creatore di Dio e destinata a vivere eternamente.