domenica 31 maggio 2009

31 maggio: La nostra solidarietà è più forte della crisi

L’Azione Cattolica Italiana impegnata a sostenere la Colletta nazionale promossa dalla Chiesa italiana. Una sollecitazione ai soci a partecipare con generosità: «Essere solidali significa sentirsi comunità cristiana e comunità civile». Si invitano tutti i soci ad aderire con generosità alla colletta lanciata dalla Cei per oggi, domenica di Pentecoste.
L’iniziativa, promossa dalla C.E.I. in collaborazione con le banche nazionali, servirà ad alimentare il “prestito della speranza”, pensato per sostenere le famiglie in difficoltà economica a causa della crisi.

«La perdita del lavoro è un dramma non solo per lo spettro della povertà che si avvicina, ma anche per lo sconforto, l’angoscia e l’isolamento che può provocare. Per questo, come cristiani ma anche come cittadini, abbiamo il dovere di farci vicini a chi sta subendo più pesantemente le conseguenze della crisi. La solidarietà non è solo un aiuto concreto, ma anche un messaggio di speranza».
«La nostra solidarietà è più forte della crisi”, cosi recita il manifesto che accompagna la Colletta nazionale della Chiesa italiana.
Non solo uno slogan, ha spiegato il cardinale Angelo Bagnasco, ma una prospettiva che «intende dare una risposta concreta a quelle famiglie monoreddito che abbiano perso l’unico sostentamento, con tre figli a carico oppure segnate da situazioni di grave malattia o disabilità».
Il card. Bagnasco ricorda anche come «la scelta della famiglia non è casuale, ma corrisponde ad una convinzione profonda che vede in essa non soltanto l’ammortizzatore sociale più efficiente, ma anche la trama relazionale più necessaria per un armonico sviluppo delle persone e dunque della società».

«Per l’Azione cattolica, la colletta nazionale riveste un grande valore pedagogico perché rappresenta un’azione che educa in concreto alla solidarietà e alla condivisione, all’apertura del cuore e alla generosità. Non solo: aiuta a vivere questo momento di obiettiva difficoltà per tanti imparando a rimuovere le cause profonde della crisi, e cioè l’avidità del denaro e la cupidigia del possedere».

Con il suo impegno a favore della colletta nazionale, inoltre, l’Ac raccoglie l’invito dei vescovi a « dar voce alla gente e alle preoccupazioni generali che non sono poche né piccole ». In questo senso già molte sono nel nostro Paese le realtà che vedono le donne e gli uomini di Ac impegnati in iniziative e in progetti che, all’interno delle singole diocesi e parrocchie, hanno cominciato a dare risposte concrete ai bisogni via via emergenti.

N.B. È possibile contribuire al Fondo di garanzia per le famiglie in difficoltà da subito attraverso:
*Bonifico bancario su conto corrente di Banca Prossima (Gruppo Intesa Sanpaolo S.p.A.) - codice IBAN intestato a: CEI - PRESTITO DELLA SPERANZA IT19 Q033 5901 6001 0000 0006 893
(I versamenti effettuati presso gli sportelli Gruppo Intesa Sanpaolo sono gratuiti).

*Versamento sul conto corrente postale n. 96240338, intestato a CEI - PRESTITO DELLA SPERANZA, Circonvallazione Aurelia n. 50, 00165 Roma - CAUSALE: CEI - COLLETTA PRESTITO DELLA SPERANZA
(I versamenti effettuati presto tutti gli uffici postali sono gratuiti).

sabato 23 maggio 2009

23 maggio 2009. In ricordo di Giovanni Falcone.

Oggi è il 17° anniversario della strage di Capaci.
Ricordando Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinari, Rocco Di Cillo e Vito Schifani, vi propongo due riflessioni.

Una è della sorella del magistrato ucciso, Maria Falcone.
"Per sconfiggere “Cosa Nostra”, diceva Giovanni Falcone, bisogna
agire seguendo tre direttive:
La prima e sicuramente la più importante, è la repressione.
Tale azione portata avanti dalla magistratura e dalle forze
dell’ordine deve essere costante, forte e supportata soprattutto
da una legislazione adeguata che pur garantendo le libertà
fondamentali dell’individuo permetta ai magistrati di svolgere al
meglio la funzione investigativa.
La seconda fondamentale nel lungo periodo deve essere
l’educazione alla legalità delle nuove generazioni, al fi ne di
contrastare quelli che sono i disvalori della mafi osità. Riuscire a
sconfi ggere l’omertà e l’indifferenza signifi ca anche togliere alla
mafi a la possibilità di affermare il proprio dominio sul territorio.
La terza e sicuramente non meno importante consiste nel
creare uno sviluppo economico non inquinato dalle pressioni
della criminalità che ubbidisca soltanto alle leggi di mercato
.
Appunto per questo, la Fondazione Giovanni e Francesca Falcone
ha voluto fare, quest’anno, una rifl essione più approfondita
sui problemi che spesso un’impresa che agisce nel meridione
d’Italia deve affrontare discutendo principalmente sulle possibili
soluzioni istituzionali e sui comportamenti individuali da
adottare..." (Maria Falcone, Presidente della Fondazione Giovanni e Francesca Falcone LEGALITÀ, IMPRESA E SVILUPPO).


L'altra è il messaggio di S.E. Mons. Michele Pennisi, vescovo di Piazza Armerina, rivolto agli studenti che sono arrivati al porto di Palermo oggi sabato 23 maggio con la “Nave della Legalità”.
"Ben arrivati e benvenuti in Sicilia, terra da sempre accogliente ed ospitale!
In questa giornata 17 anni fa Giovanni Falcone assieme, a Francesca Morvillo e agli agenti della sua scorta ci lasciava, vittima di un vile attentato mafioso.
Oggi la vostra presenza così numerosa testimonia che a perdere non fu la giustizia ma la mafia.
Falcone come Borsellino e tanti altri ci hanno testimoniato cosa significa vivere per la legalità e la giustizia, compiendo il proprio dovere orientati al bene comune.
La testimonianza di Giovanni Falcone è stata quella dell’uomo di speranza che attraverso il proprio impegno quotidiano ha dimostrato che
è possibile lottare e sconfiggere la mafia , che è un fenomeno umano e non una fato inevitabile.
La «legalità», ossia il rispetto e la pratica delle giuste leggi, costituisce una condizione fondamentale perché vi siano libertà, giustizia e pace tra gli uomini. La promozione della legalità ispirata da alti valori morali, a tutela dei fondamentali diritti di ogni persona, implica il contrastare fenomeni devianti come la mafia e le sue conseguenze negative: il pizzo, l’usura, lo spaccio della droga, i guadagni illeciti.
La lotta alle mafie (intendendo oltre che “cosa nostra” anche la “camorra”, “l’ ndrangheta” , la “sacra corona unita”) passa attraverso un rinnovato impegno educativo che porti ad un cambiamento della mentalità .
Per contrastare questi fenomeni criminali è necessaria una mobilitazione delle coscienze che, insieme ad un’efficace azione istituzionale e ad un ordinato sviluppo economico, può ridurre e sconfiggere il fenomeno criminoso.
Il senso della legalità non è un valore che si improvvisa. Esso esige un lungo e costante processo educativo. La sua affermazione e la sua crescita sono affidati alla collaborazione di tutti, ma in modo particolare alla famiglia e alla scuola e sopratutto a voi, cari giovani!Per rilanciare un impegno positivo per la vita è importante a dare risposte convincenti alle domande fondamentali sul senso della vostra esistenza che vi portate in cuore per costruire una società più giusta e più fraterna aperta alla speranza.
La speranza è certezza della meta, è fede nel futuro. La fiducia in uno scopo positivo della vita è proprio la caratteristica dei giovani. Senza uno scopo si è già vecchi. Ma il futuro si prepara con una grande e convinta adesione alla concretezza del presente.

Paolo Borsellino rivolto ai giovani scrisse “quando voi sarete adulti avrete più forza di reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta”.
La comunità cristiana vi vuole essere vicina per infondervi coraggio.
L'attuale sensibilità che la Chiesa mostra per promuovere la legalità si esprime in una serie di iniziative concrete volte a creare un costume e una mentalità alternativi a quella della subcultura in cui alligna la mafia.
Per la maturazione di questa sensibilità è stato soprattutto importante l'intervento di papa Giovanni Paolo II ad Agrigento il 9 maggio 1993: “Dio ha detto: "Non uccidere". Nessun uomo, nessuna associazione umana, nessuna mafia può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio. Questo popolo siciliano è un popolo che ama la vita, che dà la vita. Non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, di una civiltà della morte. Qui ci vuole la. civiltà della vita. Nel nome Cristo, crocifisso e risorto, di Cristo che è Via, verità e Vita, mi rivolgo ai responsabili: convertitevi, un giorno arriverà il giudizio di Dio".
Si tratta di un appello chiaramente evangelico. E' significativo che il Papa si rivolga non al fenomeno, la mafia, ma a gli uomini che producono tale fenomeno e lo faccia in nome di Dio e li invita a convertirsi cioè a cambiare vita e a riparare il male fatto.
La coscienza di una radicale incompatibilità tra mafia e vita cristiana è stato suggellato qui a Palermo dalla splendida testimonianza del martirio di don Pino Puglisi, ucciso solo perché fedele al suo ministero e perché attraverso la sua opera educativa sottraeva manovalanza a “cosa nostra”. La memoria di questo martirio è impegnativa per la Chiesa siciliana tutta.
Urge, oggi, formare una nuova mentalità in grado di creare una reale cultura per la legalità . La vostra presenza ne è un segno evidente.
L'educazione alla legalità va coniugata con l'educazione alla socialità e ad una cittadinanza responsabile, nell'ambito di una educazione globale alla pace.
Iniziamo quindi a vivere e costruire la legalità realizziamo una legalità reale, non fatta di slogan ma di nostre azioni concrete, passiamo dall’idea al fatto.
Non abbiamo bisogno di eroi ma di persone per le quali , come disse Giovanni Paolo II nel 1982 a proposito di San Benedetto, “il quotidiano diventi eroico, e l’eroico diventi quotidiano”.
A volte i giovani possono insegnare agli adulti (come è avvenuto con i giovani di Addio Pizzo qui a Palermo) e possono portare segni di speranza e voi lo dovete dimostrare ogni giorno iniziando dall’ambiente scolastico e nella vita quotidiana.

24 maggio 2009. Prima comunione di Ausilia.


Il 24 maggio Ausilia si accosterà per la prima volta al sacramento dell'Eucarestia.
Nella parrocchia di Sant'Agrippina insieme ai suoi compagnetti di catechismo vivrà la giornta più bella della sua esitenza: incontrerà il suo amico Gesù.
Dopo l'esperienza del sacramento della riconciliazione vissuto qualche giorno fa nel ritiro spirituale, finalmente è arrivato il giorno tanto desiderato.

Un grazie al parroco e ai catechisti (in particolare ad Agrippina e a Giacomo) che con dedizione e amore hanno preparato questi angeli all'incontro con il Signore.
Auguri a tutti i ragazzi (dovrebbero essere 24) e ai loro genitori.

Speriamo che con il nuovo anno possiamo ricomincirae anche con l'ACR avendo la disponibilità di qualche animatore.

43 Giornata delle Comunicazioni sociali:"Nuove tecnologie, nuove relazioni".


In preparazione alla 43^ Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali sul tema “Nuove tecnologie, nuove relazioni.Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia”, si è svolto ieri, venerdì 22 maggio, presso i locali del Seminario Estivo di Caltagirone, un incontro di approfondimento e riflessione sul tema stesso della Giornata. Relatore dell’incontro Nello Scavo, giornalista di Avvenire.

Il messaggio del Santo Padre per la 43a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali oltre che per l’impianto decisamente propositivo, visibile attraverso l’enunciato stesso del tema, si lascia godere anche per l’approccio singolarmente positivo con cui tutto l’argomento delle “nuove tecnologie” viene affrontato dal Papa. Si sarebbe infatti potuto abbastanza facilmente prevedere che un discorso sulle nuove tecnologie di comunicazione potesse anche comportare nuove preoccupazioni sugli usi e i comportamenti perlomeno impropri, se non proprio deviati e devianti, che quasi certamente ne deriveranno. Il Papa ha voluto invece che l’apertura sulle “nuove tecnologie” fosse fatta con l’occhio aperto sulla prospettiva delle forme e dei modi di “nuove relazioni”, più umanamente ricchi e arricchenti, che se ne potranno ricavare.
«Le nuove tecnologie – scrive il Papa – hanno anche aperto la strada al dialogo tra persone di differenti paesi, culture e religioni. La nuova arena digitale, il cosiddetto cyberspace, permette di incontrarsi e di conoscere i valori e le tradizioni degli altri».

Ecco il testo integrale.

Cari fratelli e sorelle,
in prossimità ormai della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, mi è caro rivolgermi a voi per esporvi alcune mie riflessioni sul tema scelto per quest’anno: Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia. In effetti, le nuove tecnologie digitali stanno determinando cambiamenti fondamentali nei modelli di comunicazione e nei rapporti umani. Questi cambiamenti sono particolarmente evidenti tra i giovani che sono cresciuti in stretto contatto con queste nuove tecniche di comunicazione e si sentono quindi a loro agio in un mondo digitale che spesso sembra invece estraneo a quanti di noi, adulti, hanno dovuto imparare a capire ed apprezzare le opportunità che esso offre per la comunicazione. Nel messaggio di quest’anno, il mio pensiero va quindi in modo particolare a chi fa parte della cosiddetta generazione digitale: con loro vorrei condividere alcune idee sullo straordinario potenziale delle nuove tecnologie, se usate per favorire la comprensione e la solidarietà umana. Tali tecnologie sono un vero dono per l’umanità: dobbiamo perciò far sì che i vantaggi che esse offrono siano messi al servizio di tutti gli esseri umani e di tutte le comunità, soprattutto di chi è bisognoso e vulnerabile.

L’accessibilità di cellulari e computer, unita alla portata globale e alla capillarità di internet, ha creato una molteplicità di vie attraverso le quali è possibile inviare, in modo istantaneo, parole ed immagini ai più lontani ed isolati angoli del mondo: è, questa, chiaramente una possibilità impensabile per le precedenti generazioni. I giovani, in particolare, hanno colto l’enorme potenziale dei nuovi media nel favorire la connessione, la comunicazione e la comprensione tra individui e comunità e li utilizzano per comunicare con i propri amici, per incontrarne di nuovi, per creare comunità e reti, per cercare informazioni e notizie, per condividere le proprie idee e opinioni. Molti benefici derivano da questa nuova cultura della comunicazione: le famiglie possono restare in contatto anche se divise da enormi distanze, gli studenti e i ricercatori hanno un accesso più facile e immediato ai documenti, alle fonti e alle scoperte scientifiche e possono, pertanto, lavorare in équipe da luoghi diversi; inoltre la natura interattiva dei nuovi media facilita forme più dinamiche di apprendimento e di comunicazione, che contribuiscono al progresso sociale.

Sebbene sia motivo di meraviglia la velocità con cui le nuove tecnologie si sono evolute in termini di affidabilità e di efficienza, la loro popolarità tra gli utenti non dovrebbe sorprenderci, poiché esse rispondono al desiderio fondamentale delle persone di entrare in rapporto le une con le altre.

Questo desiderio di comunicazione e amicizia è radicato nella nostra stessa natura di esseri umani e non può essere adeguatamente compreso solo come risposta alle innovazioni tecnologiche. Alla luce del messaggio biblico, esso va letto piuttosto come riflesso della nostra partecipazione al comunicativo ed unificante amore di Dio, che vuol fare dell’intera umanità un’unica famiglia. Quando sentiamo il bisogno di avvicinarci ad altre persone, quando vogliamo conoscerle meglio e farci conoscere, stiamo rispondendo alla chiamata di Dio – una chiamata che è impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza di Dio, il Dio della comunicazione e della comunione.

Il desiderio di connessione e l’istinto di comunicazione, che sono così scontati nella cultura contemporanea, non sono in verità che manifestazioni moderne della fondamentale e costante propensione degli esseri umani ad andare oltre se stessi per entrare in rapporto con gli altri. In realtà, quando ci apriamo agli altri, noi portiamo a compimento i nostri bisogni più profondi e diventiamo più pienamente umani. Amare è, infatti, ciò per cui siamo stati progettati dal Creatore. Naturalmente, non parlo di passeggere, superficiali relazioni; parlo del vero amore, che costituisce il centro dell’insegnamento morale di Gesù: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza" e "Amerai il tuo prossimo come te stesso" (cfr Mc 12,30-31). In questa luce, riflettendo sul significato delle nuove tecnologie, è importante considerare non solo la loro indubbia capacità di favorire il contatto tra le persone, ma anche la qualità dei contenuti che esse sono chiamate a mettere in circolazione. Desidero incoraggiare tutte le persone di buona volontà, attive nel mondo emergente della comunicazione digitale, perché si impegnino nel promuovere una cultura del rispetto, del dialogo, dell’amicizia.

Pertanto, coloro che operano nel settore della produzione e della diffusione di contenuti dei nuovi media non possono non sentirsi impegnati al rispetto della dignità e del valore della persona umana. Se le nuove tecnologie devono servire al bene dei singoli e della società, quanti ne usano devono evitare la condivisione di parole e immagini degradanti per l’essere umano, ed escludere quindi ciò che alimenta l’odio e l’intolleranza, svilisce la bellezza e l’intimità della sessualità umana, sfrutta i deboli e gli indifesi.

Le nuove tecnologie hanno anche aperto la strada al dialogo tra persone di differenti paesi, culture e religioni. La nuova arena digitale, il cosiddetto cyberspace, permette di incontrarsi e di conoscere i valori e le tradizioni degli altri. Simili incontri, tuttavia, per essere fecondi, richiedono forme oneste e corrette di espressione insieme ad un ascolto attento e rispettoso. Il dialogo deve essere radicato in una ricerca sincera e reciproca della verità, per realizzare la promozione dello sviluppo nella comprensione e nella tolleranza. La vita non è un semplice succedersi di fatti e di esperienze: è piuttosto ricerca del vero, del bene e del bello. Proprio per tale fine compiamo le nostre scelte, esercitiamo la nostra libertà e in questo, cioè nella verità, nel bene e nel bello, troviamo felicità e gioia. Occorre non lasciarsi ingannare da quanti cercano semplicemente dei consumatori in un mercato di possibilità indifferenziate, dove la scelta in se stessa diviene il bene, la novità si contrabbanda come bellezza, l’esperienza soggettiva soppianta la verità.

Il concetto di amicizia ha goduto di un rinnovato rilancio nel vocabolario delle reti sociali digitali emerse negli ultimi anni. Tale concetto è una delle più nobili conquiste della cultura umana. Nelle nostre amicizie e attraverso di esse cresciamo e ci sviluppiamo come esseri umani. Proprio per questo la vera amicizia è stata da sempre ritenuta una delle ricchezze più grandi di cui l’essere umano possa disporre. Per questo motivo occorre essere attenti a non banalizzare il concetto e l’esperienza dell’amicizia. Sarebbe triste se il nostro desiderio di sostenere e sviluppare on-line le amicizie si realizzasse a spese della disponibilità per la famiglia, per i vicini e per coloro che si incontrano nella realtà di ogni giorno, sul posto di lavoro, a scuola, nel tempo libero. Quando, infatti, il desiderio di connessione virtuale diventa ossessivo, la conseguenza è che la persona si isola, interrompendo la reale interazione sociale. Ciò finisce per disturbare anche i modelli di riposo, di silenzio e di riflessione necessari per un sano sviluppo umano.

L’amicizia è un grande bene umano, ma sarebbe svuotato del suo valore, se fosse considerato fine a se stesso. Gli amici devono sostenersi e incoraggiarsi l’un l’altro nello sviluppare i loro doni e talenti e nel metterli al servizio della comunità umana. In questo contesto, è gratificante vedere l’emergere di nuove reti digitali che cercano di promuovere la solidarietà umana, la pace e la giustizia, i diritti umani e il rispetto per la vita e il bene della creazione. Queste reti possono facilitare forme di cooperazione tra popoli di diversi contesti geografici e culturali, consentendo loro di approfondire la comune umanità e il senso di corresponsabilità per il bene di tutti. Ci si deve tuttavia preoccupare di far sì che il mondo digitale, in cui tali reti possono essere stabilite, sia un mondo veramente accessibile a tutti. Sarebbe un grave danno per il futuro dell’umanità, se i nuovi strumenti della comunicazione, che permettono di condividere sapere e informazioni in maniera più rapida e efficace, non fossero resi accessibili a coloro che sono già economicamente e socialmente emarginati o se contribuissero solo a incrementare il divario che separa i poveri dalle nuove reti che si stanno sviluppando al servizio dell’informazione e della socializzazione umana.

Vorrei concludere questo messaggio rivolgendomi, in particolare, ai giovani cattolici, per esortarli a portare nel mondo digitale la testimonianza della loro fede. Carissimi, sentitevi impegnati ad introdurre nella cultura di questo nuovo ambiente comunicativo e informativo i valori su cui poggia la vostra vita! Nei primi tempi della Chiesa, gli Apostoli e i loro discepoli hanno portato la Buona Novella di Gesù nel mondo greco romano: come allora l’evangelizzazione, per essere fruttuosa, richiese l’attenta comprensione della cultura e dei costumi di quei popoli pagani nell’intento di toccarne le menti e i cuori, così ora l’annuncio di Cristo nel mondo delle nuove tecnologie suppone una loro approfondita conoscenza per un conseguente adeguato utilizzo. A voi, giovani, che quasi spontaneamente vi trovate in sintonia con questi nuovi mezzi di comunicazione, spetta in particolare il compito della evangelizzazione di questo "continente digitale". Sappiate farvi carico con entusiasmo dell’annuncio del Vangelo ai vostri coetanei! Voi conoscete le loro paure e le loro speranze, i loro entusiasmi e le loro delusioni: il dono più prezioso che ad essi potete fare è di condividere con loro la "buona novella" di un Dio che s’è fatto uomo, ha patito, è morto ed è risorto per salvare l’umanità. Il cuore umano anela ad un mondo in cui regni l’amore, dove i doni siano condivisi, dove si edifichi l’unità, dove la libertà trovi il proprio significato nella verità e dove l’identità di ciascuno sia realizzata in una comunione rispettosa. A queste attese la fede può dare risposta: siatene gli araldi! Il Papa vi è accanto con la sua preghiera e con la sua benedizione.

Dal Vaticano, 24 gennaio 2009, Festa di San Francesco di Sales.

22 maggio 2009. In ricordo di Paolo Giuntella.

Un anno fa, il 22 maggio 2008, moriva Paolo Giuntella. Aveva 61 anni, figlio del professor Vittorio Emanuele Giuntella (reduce dai lager nazisti), fu da giovane attivo nella Fuci, e nel movimento scout. Nel 1966 fu tra gli "Angeli del Fango" che arrivarono a Firenze in seguito all'alluvione.
Nel 1979 fondò l’associazione la Rosa Bianca, ispirato all’impegno dei giovani cristiani guidati da Hans e Sophie Scholl che si opposero in modo nonviolento al nazismo. Nel 1980 sposò Laura Rozza, conosciuta nell’Azione Cattolica, dalla quale ha avuto tre figli.
Giornalista e scrittore, dopo avere lavorato per alcuni quotidiani ("Il Popolo", "Avvenire", "Il Mattino"), ha diretto il mensile Appunti di cultura e politica ed è stato a capo della terza pagina e dei supplementi culturali de Il Mattino. Come giornalista Rai ha coordinato Tv7, per poi divenire caporedattore di Speciale Tg1. Dal 1999 seguiva per il Tg1 della Rai l'attività del presidente della Repubblica.

Poco prima di morire era stato pubblicato il suo ultimo libro (L'aratro, l'ipod, e le stelle. Diario di viaggio di un laico cristiano, Milano, Paoline, 2008, e ora è appena uscita, a cura di Laura Rozza Giuntella, la nuova edizione di un volumetto scritto con il padre, lo storico Vittorio Emanuele Giuntella (1913-1996), con l'aggiunta di una lunga appendice (Il gomitolo dell'alleluja. Di padre in figlio il filo della fede, Roma, Ave, 2009).

Il nostro presidente diocesano ci ha ricordato che a Roma durante il convegno dei Presidenti vi è stato un momento di fraternità organizzato dai "figli di papà" dell'A.C.: Bachelet, Giuntella (appunto uno dei figli di Paolo), Sassuoli, ecc.).

Mi sembra giusto ricordare questo nostro socio di Azione Cattolica. Un serio e bravo giornalista, cristianamente impegnato. In un tempo in cui avere giornalisti coraggiosi, liberi, competenti, ...e "testimoni" non è facile.


Dal suo ultimo libro, L’aratro, l’ipod e le stelle, "...La morte ha davvero l’ultima parola? Noi crediamo di no: la morte non ha l’ultima parola… La morte è il compimento della vita, il passo arduo di montagna, della nostra speranza...
Tornare nomadi per cercare e contemplare la Verità, per lasciare le nostre case, i nostri templi di pietra, la nostra pesante condizione di «sani», di «buoni», per recuperare tenda e sacco a pelo, carte, bussola, borraccia, ipod, e camminare cantando e ballando verso la felicità.
..".

venerdì 22 maggio 2009

28 Maggio 2009:Morti Bianche...ricominciare da Mineo per non dimenticare...

A distanza di circa un anno dalla tragedia che ha segnato la vita della nostra cittadina con la morte delle sei persone sul posto di lavoro, di cui quattro di Mineo, l'Azione Cattolica Italiana della diocesi di Caltagirone con il Movimento dei lavoratori dell'A.C. regionale vuole mettere al centro della riflessione della comunità ecclesiale il Lavoro, la sua dignità e la sicurezza nel posto di lavoro.
Siamo tutti invitati a partecipare.
L’iniziativa vuole essere una risposta dell’Azione Cattolica che vuol essere vicina ai giovani perché siano preparati ad essere buoni lavoratori, e per rispondere a quella che ormai sta diventando un’emergenza quotidiana dovuta ai tanti incidenti sul lavoro.
Dobbiamo per prima noi educarci al pieno rispetto delle regole e alla legalità per uno stile di vita nuovo impermeato sull’attenzione all’uomo che lavora.
E’ infatti, compito della Chiesa stimolare il mondo del lavoro a promuovere la persona, a porre cioè attenzione sull’uomo che lavora e non solo ed esclusivamente sulla massimizzazione del profitto la quale porta ad una progressiva disumanizzazione, con il rischio continuo di incidenti.
Lo stesso Papa Giovanni Paolo II, di venerata memoria, ha evidenziato più volte, nel suo pontificato, la necessità di una nuova “cultura del lavoro” che pone le sue fondamenta sui principi della Dottrina Sociale della Chiesa tenendo conto anche dei cambiamenti sociali e interrogando le norme etiche.
La voce della Dottrina Sociale della Chiesa è chiara: il lavoro è un elemento essenziale del compito affidato all’uomo di realizzare se stesso nella società e nell’ordine creaturale che gli è dato.

Queste problematiche sono di un'attualità impressionante. Vedi la tragedia avvenuta a Cagliari con la morte di tre operai sul posto di lavoro.

sabato 16 maggio 2009

Sicurezza e accoglienza possono convivere.


Qualche giorno fa nel secondo incontro formativo sulla Dottrina Sociale della Chiesa tenutosi a Mineo nella parr. di San Pietro, si è accennato alla problematica della Politica sull'immigrazione alla luce della Dottrina sociale (rispetto della persona umana e della sua dignita...).
Le parole di Mons. Sigalini, assistente generale di A C, possono essere un ulteriore contributo di riflessione sul tema trattato.

Sicurezza e accoglienza possono convivere

La vita non la ferma nessuno, le migrazioni dei popoli sono la ricerca vitale di una possibilità di vivere, diritto di ogni persona che viene al mondo. I confini li ha fatti l’uomo, i muri pure, ma anche i ponti e le strade, le navi e gli aerei. Finché avevamo confini precisi ci volevamo bene, ci salutavamo dal cancello dell’orto, ci passavamo le primizie dei raccolti, ma quando abbiamo tolto la siepe che delimitava il nostro e il suo orto siamo andati in crisi.

Dobbiamo cedere al fatto che la forza della convivenza deve per forza stare nei muri, nelle siepi, nei confini, nelle reclusioni, nei commerci di povere vite sballottate nei mari oppure andiamo verso una umanità che si affratella sempre di più e che elimina le disuguaglianze? Che rispetta i diritti e che li ridefinisce in base alla evoluzione della convivenza umana? Prendiamo coscienza che tanti popoli li deprediamo e che hanno diritto a venire a prendere quello che abbiamo tolto o stiamo estorcendo ancora oggi?

Certo oggi stiamo vivendo un momento di passaggio delicato, che non va affrontato con l’irruenza delle ideologie e della demagogia, della contrapposizione tra partiti e della immagine mediatica. L’umanità merita di meglio. La sicurezza e l’accoglienza possono assolutamente convivere e convivere bene. Le guerre che il mondo opulento provoca producono stracci di umanità e urla di pace. Dobbiamo con pacatezza, con decisione, con onestà e ponderatezza affrontare i temi delle immigrazioni, ciascuno con la sua responsabilità.
Lo Stato lo sta facendo, ma occorre il concorso di tutti e l’ascolto di tutti gli uomini che hanno buona volontà e non mutuo disprezzo, per definire, cambiare, completare le leggi. La contrapposizione mediatica tra i partiti è un ottimo alibi per esimere il cittadino dal prendere coscienza di quanto miseramente paga il suo operaio immigrato o il proprietario di una casa di quanto lo strozza con il suo affitto pure in nero.

La Chiesa si è vista ingigantire l’attenzione ai migrantes, molto più di ieri. Le nostre pastorali ancora non tengono conto che devono ridefinirsi a partire da questo segno dei tempi, cioè luogo dove sicuramente Dio sta passando e bussando alle nostre vite e alle nostre istituzioni, alle nostre chiese e ai nostri oratori. Nessuno se ne può tirare fuori. C’è bisogno di governo e di opposizioni, di Chiesa e di università, di arte e di musica, di sport e di letteratura, di stampa e di fiction per aiutarci tutti a creare un mondo nuovo, sicuramente più bello e più ricco, come Dio lo ha da sempre sognato per tutti noi.