lunedì 3 settembre 2012

In ricordo del cardinale Carlo Maria Martini

La Scrittura e la Parola


Il Cardinale Carlo Maria Martini e il Priore di Bose Enzo Bianchi

Se n’è andato accompagnato dalla preghiera di tutta la diocesi, dei suoi confratelli gesuiti, di quanti lo hanno amato e gli sono stati vicini durante il suo ministero pastorale e gli ultimi anni segnati dalla malattia e dal progressivo affievolirsi della voce e delle forze. Se n’è andato accompagnato anche dal pensiero grato – forse anche dalla preghiera – di tanti che cristiani non sono e nemmeno credenti, ma che hanno trovato in lui un pastore, un padre, un amico, un confidente. Ci ha lasciato da un letto di malattia, luogo dove aveva voluto chiudere il suo ministero di vescovo a Milano: negli ultimi mesi del suo episcopato si recava ogni giorno, nel silenzio e nella discrezione, a salutare uno per uno i suoi presbiteri ammalati, andandoli a trovare nelle loro case, negli ospedali, nei luoghi di cura... Del resto, proprio dagli ammalati aveva voluto iniziare la sua missione a Milano: la prima parrocchia da lui visitata fu quella della Madonna di Lourdes, in occasione della giornata del malato: segno tangibile della sua consapevolezza di essere pastore in quanto discepolo fedele del Signore venuto come medico per i malati e non per i sani, sollecito verso i peccatori più che verso i giusti.

Uomo della Scrittura, tra i più autorevoli studiosi del Nuovo Testamento, è stato uomo della Parola nel senso più profondo del termine: letta, studiata, meditata, pregata, amata, la parola di Dio per Martini era “lampada per i suoi passi, luce per il cammino” ed era anche, e proprio per questo, chiave di lettura del proprio e dell’altrui agire, luogo di ascolto, di discernimento, di visione profetica. La sua prima lettera pastorale volle dedicarla a “La dimensione contemplativa della vita”, a quella ricerca dell’essenziale attraverso uno sguardo lungimirante, desideroso di assumere la visione stessa di Dio sulle persone e sugli eventi, uno sguardo che solo l’assiduità con la parola di Dio arriva ad affinare. E uomo, cristiano, vescovo della Parola, Martini lo è stato anche per la sua grande capacità di ascolto: incontrarlo era sperimentare di persona cosa è un orecchio attento e un cuore accogliente, cosa significa pensare e pregare prima di formulare una risposta, cogliere il non detto a partire dalle poche parole proferite dall’interlocutore, capirne i silenzi. Dall’ascolto attento, della Parola e dell’altro, nasceva nel card. Martini la capacità di gesti profetici, la sollecitudine per la chiesa e per la sua unità, la vicinanza ai poveri, il farsi prossimo ai lontani, il dialogo con i non credenti fino a considerarli propri maestri cui affidare cattedre per la ricerca del senso delle cose e della dignità delle persone. E questa docilità alla Parola ha fatto di lui uno dei rari ecclesiastici in cui non si trovavano né tattiche, né strategie, né calcoli di governo, ma la parresia evangelica di chi si affida al Signore.

Tra i numerosi incontri avuti con lui nel corso di una lunga amicizia – nata nell’inverno del 1977, quando entrambi sostavamo a Gerusalemme – vorrei in questo momento ricordare l’ultima sua visita a Bose, quando le forze già cominciavano ad abbandonarlo senza minimamente intaccare la sua lucidità e la sua passione per il Vangelo e per la “corsa della Parola” tra gli uomini e le donne del nostro tempo. “Vedo ormai davanti a me la vita eterna – ci disse con grande semplicità e forza – sono venuto per darvi il mio ultimo saluto, il mio grazie al Signore per questa lunga amicizia nel Suo nome: conto sulla vostra preghiera e sul vostro affetto”. E così, come un padre pieno di sollecitudine, ci parlò della morte e del morire, della risurrezione e della vita: “Si muore soli! Tuttavia, come Gesù, chi muore in Dio si sa accolto dalle braccia del Padre che, nello Spirito, colma l’abisso della distanza e fa nascere l’eterna comunione della vita. Nella luce della risurrezione di Gesù possiamo intuire qualcosa di ciò che sarà la risurrezione della carne. L’anticipazione vigilante della risurrezione finale è in ogni bellezza, in ogni letizia, in ogni profondità della gioia che raggiunge anche il corpo e le cose”.

Sì, aver conosciuto e amato il card. Martini, aver avuto il grande dono della sua amicizia è stata occasione di questa letizia e gioia profonda, ha significato comprendere perché i padri della chiesa erano soliti dire che i discepoli autentici del Signore sono sequentiae sancti Evangelii, brani del Vangelo, narrazioni dell’amore di Dio per l’umanità tutta. Per questo il sentimento di gratitudine al Signore per il dono che è stato padre Carlo Maria Martini, come semplicemente si faceva chiamare in questi ultimi anni, abita i cuori di tanti, ben al di là dei confini della diocesi ambrosiana.

ENZO BIANCHI , 1 settembre 212


martedì 11 ottobre 2011

11 Ottobre 1962: Viva il Concilio Vaticano II

Perchè 'Viva il Concilio'

'Viva il Concilio' è anzitutto espressione di ringraziamento, poiché lungo i secoli della sua storia alla Chiesa non è mai venuta meno l’assistenza dello Spirito Santo. Nel caso del concilio Vaticano II, ancora una volta, lo Spirito di Dio non ha lesinato i suoi doni, versandoci in grembo «una misura buona, pigiata, scossa e traboccante» (Lc 6,38b). Deo gratias.

'Viva il Concilio', oltre ad essere una benedizione, costituisce una pro­messa: solo a condizione di rinnovare la fedeltà e la verità di quell’evento spi­rituale sarà possibile per la Chiesa cattolica disporre dei doni ricevuti e tenerne viva la memoria. In modo tenace Paolo VI ha richiamato il dovere ecclesiale della “fedeltà al Concilio”, poiché trattandosi di un evento che chiama in causa la responsabilità apostolica, prima «dobbiamo comprenderlo» poi «dobbiamo seguirlo».

'Viva il Concilio' è un compito che si fonda sulla memoria, impegna il presente e apre alla profezia. Occorre «ricordare che il Concilio scaturì dal grande cuore del papa Giovanni XXIII […] Noi tutti siamo davvero debitori di questo straordinario evento ecclesiale» (Benedetto XVI). Per questo, la lezione dell’ultimo Concilio dev’essere accolta come «la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre» (Giovanni Paolo II).

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